L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Dall’Italia alla Cina

 di Stefano Ceccarelli

L’ultimo dei tre appuntamenti di “Giro del mondo in tre orchestre” prevede l’esibizione della Shenzhen Symphony Orchestra, fiore all’occhiello della Cina, diretta dal talentuoso Lin Daye – che meriterebbe un’eco maggiore nel panorama delle bacchette mondiali – in un programma accattivante e seducente: l’ouverture da Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, il Concerto n. 2 in do minore per pianoforte e orchestra op. 18 di Sergej Rachmaninov (con la solista Zhang Zuo) e, dulcis in fundo, la Shéhérazade. Suite sinfonica op. 35 di Nikolaj Rimskij-Korsakov. Il concerto è un grande successo, per l’alta qualità dell’esecuzione e il generale apprezzamento del pubblico.

ROMA, 15 settembre 2016 – Chi avrebbe mai pensato che un’orchestra cinese sapesse penetrare così bene la musica di Rossini? Forse – voglio sbilanciarmi, ma poi neanche tanto… – assai più di molte orchestre nostrane. Proprio con Rossini la Shenzhen apre il concerto, con un omaggio a un compositore italianissimo. E, nell’eseguire l’ouverture de Il barbiere, ci lasciano stupefatti per la pasta sonora invidiabile, morbida e compatta, per la fluidità d’esecuzione, per i frizzi degli archi e dei legni (incredibilmente ben intonati); evidentemente il lavoro di Daye è stato encomiabile: tranne qualche volume strumentale troppo marcato, usato come quinta sonora (gli ottoni), e la mano troppo calcata nel tipico crescendo ‘rossiniano’, Daye può dirsi quasi perfetto, fluido e pulito. Certo, forse anche troppo pulito, ma mai asettico.

Per il famoso Concerto n. 2 di Rachmaninov fa il suo ingresso la bella e giovane Zhang Zuo. Il Moderato inizia proprio con un riflessivo crescendo del pianoforte solo: la Zuo palesa fin da subito doti di tocco, sensibilità, agilità e percussionismo necessarie per la riuscita di tutto il concerto. Ma fa vedere qualche sua spina nel fianco: talune rigidità in passaggi che richiederebbero (s’ascoltino invece, exempli gratia, Argerich e Zimerman) maggiore fluidità, quasi senza pensare; e, poi, talune freddezze tipicamente orientali. Nel riflessivo, introspettivo Adagio sostenuto la Zuo dà prova di reale delicatezza, soprattutto nell’atmosfera generata dagli arpeggi, quasi a mo’ di basso continuo: la cadenza finale è ammirevole, soprattutto il bel trillo acuto. L’Allegro scherzando è assai complesso, soprattutto sul piano della musicalità: passaggi repentini fra ritmi differenti e il notissimo motivo (che verrà ripreso e arrangiato in Full moon and empty arms cantata da Sinatra) che riemerge variamente porto e swingato, rendono la scrittura ardua, soprattutto a livello interpretativo. La Zuo fa il possibile, dandoci una decorosa interpretazione. Molto buona la direzione di Daye, che lascia alla melopea del piano di emergere per tutta la composizione e alle accorte miscele timbriche rachmaninoffiane di risplendere. Meritatissimi applausi.

Il secondo tempo è interamente dedicato all’incantevole partitura di Shéhérazade, un tuffo ne Le mille e una notte, un tocco d’oriente di un compositore dalla facilissima penna qual era Rimskij-Korsakov. Daye è in serata particolarmente felice: dirige l’orchestra con incredibile facilità, il suono emerge tondo e nitido, si stagliano le nuance orientaleggianti dell’arpa, dell’oboe e dell’impasto dei legni con raffinata eleganza – e si dimostra che questo è il repertorio di Daye. Ching-Ting Chang, il primo violino, disegna gli arabeschi del tema di Shéhérazade (in mi minore) con grande delicatezza. Il mare e la nave di Sinbad (I) si dipinge alla mente degli ascoltatori nei cullanti disegni degli archi imbiancati dai dolci interventi dei legni e si dipana in una navigazione sonora in crescendo che trova requie in edeniche melodie arabesche. Ottimi gli interventi del primo violino e del primo fagotto («Capriccioso quasi recitando», si legge sulla partitura) che disegna un’indimenticabile melopea: ancora Daye incontra perfettamente l’atmosfera giusta, giungendo con l’orchestra carica di energia per la ballata de Il racconto del principe Kalender (II). Daye è bravissimo a cullare la morbida melodia degli archi de Il giovane principe e la giovane principessa che ci fa respirare la polvere del deserto e poi la gioia dell’arabico amore di questi due innamorati nel sussulto e nei guizzi dell’orchestra, che gestisce con piglio e gusto, con gesto fluido e forse eccessivamente plateale. Con gli schizzi e frizzi orchestrali si chiude in bellezza questa rêverie esotica ne Il naufragio del vascello di Sinbad (IV), meritando a Daye e all’orchestra calorosi applausi. È l’io poetico del violino solo (generatore, forse, dell’intera arabesca fantasia) a chiudere la composizione in una di quelle atmosfere tonali incerte e trasognate tanto care al decadentismo mitteleuropeo, che si risolvono solo in cauda, cui Rimskij-Korsakov aggiunge il tocco poeticissimo dell’infiorata di filati acuti del violino.

 


 

 

 
 
 

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