Re clarinetto
di Roberta Pedrotti
Un cambio in corsa e una sostituzione eccellente preludono all'avventurosa apertura della trentesima stagione di Musica Insieme. Il risultato è eccellente.
BOLOGNA, 10 ottobre 2016 - Una tappa della tournée italiana del clarinettista Martin Fröst con l’Amsterdam Sinfonietta avrebbe dovuto inaugurare la trentesima stagione di Musica Insieme, ma il destino ha fatto uno sgambetto e ha rischiato di rovinare la festa: a pochi giorni dal concerto Fröst si ammala e cancella tutte le date italiane. Nel giro di poche ore, però, ecco la rivincita che sbaraglia i piani del fato avverso: Alessandro Carbonare è disponibile a sostituire il collega e a rilevare senza alterazioni il ghiotto programma previsto, da Weber a Brahms, Bartók e la tradizione klezmer (quest’ultima nelle trascrizioni di Göran, il fratello di Martin Fröst).
Senza rimpianti, difficilmente avremmo potuto immaginare un esito migliore per la serata, introdotta dal caloroso augurio di Sandro Cappelletto. A mo’ di ouverture, le due parti hanno inizio con i soli archi, dalla cavata ben più ampia di quanto ci si potrebbe aspettare da un complesso cameristico di una ventina di elementi, nell’Adagio dal Quintetto in fa maggiore WAB 112 di Bruckner, prima, e nella Suite JW 6/2 per archi di Janáček, poi. Il suono caldo e pulito si prepara ad abbracciare la voce solista, Carbonare fa il suo ingresso, attacca il Concerto n. 1 in fa minore-maggiore op.73 per clarinetto e archi di Carl Maria von Weber e subito crea un mondo, con quel timbro rotondo, dai riflessi amaranto, sinuoso e misterioso, denso di suggestioni romantiche pronte a sciogliersi, nel secondo movimento, nella più bella e morbida cantabilità, mentre il Rondò finale scintilla di un’elegantissima brillantezza belcantista. Sembra nato per il grande repertorio classico, Carbonare, la cui impeccabile quadratura accademica fa il paio con un respiro d’artista di classe sopraffina, con un fraseggio dei più intelligenti e rifiniti. La stessa acutissima musicalità fa sì che, di lì a poco, il nostro solista paia nato per tutt’altro repertorio, senza che si avverta un qualche scarto o una metamorfosi.
L’Amsterdam Sinfonietta ci fa ascoltare quanto il ventitreenne Janáček sapesse respirare l’aria viennese lasciando vibrare sotto pelle le sue radici ceche e le sue intuizioni armoniche e metriche. Poi passa, sempre sola, alle danze popolari rumene di Béla Bartók, nelle quali irrompe a un tratto Carbonare, divertendosi con spericolatissimi arabeschi in cui il suono, improvvisamente, sa anche sporcarsi, s’immerge in una vitalità popolare, danza senza rete, amoreggia spudorato con le tradizioni klezmer e dell’Europa orientale. Si lancia con una cantabilità tutta nuova, ma non meno avvolgente e charmante, nell’eleganza lirica della Danza ungherese n. 14 di Brahms, per poi tornare a divertire e divertirsi nelle trascrizioni curate da Göran Fröst di brani di tradizione klezmer: il trionfo del clarinetto che scopre, grazie allo spirito della comunità ebraica dell’Est, una nuova identità, un universo timbrico, un’audacia sonora che incideranno profondamente e sul Jazz (che pure Carbonare pratica volentieri) e sulle varie avanguardie di XX e XXI secolo.
Il controllo di un ventaglio superbo di colori, dinamiche, curve, spigoli, affondi e ascese si traduce in un inebriante soffio vitale dalle pieghe ambigue, perturbanti e seducenti. Giocando, naturalmente, perché Carbonare suona talmente bene, è un musicista così fine da potersi permettere di far capire al pubblico quanto si diverta suonando, e di coinvolgerlo nel suo divertimento.
L’elegantissimo complesso olandese (bello anche da vedere per lo stile negli abiti, tutti in nero, tre diversi modelli per le signore accomunati da discreti inserti dai luccichii rosseggianti) è una spalla perfetta, garbatamente complice, sorridente con discrezione.
Un bis per uno, equamente, con Carbonare a dipanare con ammiccante nonchalance il triplo salto mortale di Clarinettologia di Gaspare Tiricanti (scomparso tragicamente appena due anni fa) e l’Amsterdam Sinfonietta che risponde spavalda reinventando con arguzia la colonna sonora di Pulp Fiction. Forse il pubblico delle grandi occasione è un tantino compassato, ma dimostra comunque il suo franco gradimento e l'empatica con gli artisti.
Si torna a casa felici nell'aria frizzantina dell'autunno bolognese.