L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Orosio e Conlon a Torino

I turbamenti del giovane Brahms

 di Alberto Ponti

Nel Concerto in re minore la rivelazione di un pianista poco noto in Italia

TORINO, 28/10/2016 - Come tutti i predestinati, il giovane Johannes Brahms (1833-1897), nell'affrontare per la prima volta un genere, non sbaglia un colpo, nonostante il rovello interiore che accompagna un processo creativo non sempre lineare.

La sonata per pianoforte con cui si presenta, non ancora ventenne, al mondo musicale (simbolicamente pubblicata come op. 1) è già un'opera esemplare, come lo saranno da lì a poco la prima Serenata, tappa d'esordio del suo catalogo orchestrale, e la prima Sinfonia, lavoro assai più tormentato che richiederà oltre vent'anni per venire alla luce nella sua forma definitiva, ma il cui tratto più geniale risiede nel vertiginoso primo movimento, abbozzato intorno al 1855, con le sue sublimi promesse non sempre in seguito mantenute. Il fervore compositivo degli anni '50 dell'Ottocento vede pure la nascita di un grande concerto pianistico, l'op. 15 in re minore (1854/58), altro pezzo di densità e complessità straordinarie. Concepito anch'esso come progetto per una sinfonia, tosto naufragato fra mille ripensamenti, dell'idea originaria mantiene l'ampio respiro formale e un trattamento del solista del tutto integrato al tessuto orchestrale.

Jorge Federico Osorio, pianista messicano classe 1951, ospite per la prima volta a Torino giovedì 27 e venerdì 28 ottobre, è un autentico fuoriclasse della tastiera che alla vastità del repertorio e all'atteggiamento divistico di molti virtuosi (esemplare a riguardo, nonostante le ripetute chiamate in scena, la scelta di non concedere bis) preferisce un'indagine più meditata su opere congeniali al suo tocco raffinato, di singolare spessore e pienezza di canto, accompagnato a una visione chiara e squadrata del disegno complessivo.

Il risultato, in un lavoro drammatico come questo concerto, è notevolissimo, se si tiene conto della familiarità di Osorio anche con la musica da camera, evidente non solo nell'intimità dell'Adagio centrale. Il dialogo con il primo corno, in un celebre passo dell'ampio Maestoso di apertura, tra il secondo tema e la coda dell'esposizione, raggiunge un climax di intensità difficilmente concepibile senza la confidenza con i capolavori cameristici dello stesso Brahms.

James Conlon, dal podio, interpreta la partitura con un incedere essenziale, sempre attento al giusto dosaggio dei piani sonori, in cui ogni linea della scrittura sinfonica, dai ritmi puntati dei legni ai legati più profondi degli archi, diventa percettibile all'ascolto, come nel fugato del movimento conclusivo, in un rapporto con il solista fatto di reciproca compenetrazione e mai di antagonismo.

L'Orchestra Sinfonica Nazionale è invece sola protagonista dell'altro brano in programma, la Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 97 Renana (1850) di Robert Schumann (1810-1856), che proprio di Brahms fu il primo e più entusiasta mentore. Inferiore alla Seconda e alla Quarta, capolavori di livello assoluto, l'opera deve gran parte della sua fortuna allo stupendo tema di esordio, che annienta col suo fulgore abbagliante il resto del primo movimento, ma soffre di una staticità nell'elaborazione, a volte non compensata da idee melodiche altrettanto felici, tendente a sfociare nel bozzettismo.

La lettura di Conlon è capace di trarre il meglio, con un esemplare compattezza di suono, da un'orchestrazione che procede spesso per accostamento e contrapposizione delle diverse sezioni timbriche. Gli ottoni hanno così un autentico momento di gloria nel trascinante e un poco frenetico Vivace conclusivo, accendendo con una prestazione ispirata, salutata dai convinti applausi del pubblico torinese, una serata che ha visto, con il concerto di Brahms eseguito a seguire (al contrario della prassi abituale), un ideale passaggio di testimone dal primo al secondo romanticismo tedesco. 


 

 

 
 
 

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