Sesto, la Coerenza
di Roberta Pedrotti
Assai ben realizzato, nel cartellone di Musica Insieme, il progetto dell'ensemble Fontanamix dedicato a Calvino, Eco e Berio.
BOLOGNA, 5 dicembre 2016 - Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità. E, naturalmente, i relativi opposti. I cinque bersagli (più un sesto, la Coerenza, solo progettato) verso cui Italo Calvino indirizzò le sue riflessioni estetiche per il ciclo di lectiones magistrales che avrebbe dovuto tenere ad Harvard nell’autunno del 1985 se la morte non l’avesse colto nel settembre dello stesso anno.
Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità. Cinque modi per vedere il mondo, e l’arte, nei quali e intorno ai quali Calvino ha enucleato una galassia estetica e concettuale dalla quale non possiamo più prescindere. All’interno di essa mosse riflessioni Umberto Eco e Luciano Berio articolò aspetti del suo pensiero musicale. E qui propone il suo viaggio l’ensemble Fontanamix, scegliendo come emblema la metafora ricorrente del bosco per un intreccio di note e parole, a cavallo dei secoli, guidate dalle parole ben selezionate dei tre mentori.
Il concerto-spettacolo si dipana senza soluzione di continuità, scandito solo dalle cinque stazioni calviniane. Sullo sfondo i video realizzati da Stefano Croci [Caucaso], presenza non prevaricante, ma in giusto equilibrio fra evocazione e didascalia; le parole di Calvino, Eco e Berio hanno la voce di Giovanni Chessa e da esse sembra scaturire la musica, leggera, rapida, esatta, visibile e molteplice, di Madena e Gibbons, di Schubert e Berio, Chopin e Ligeti, Bach e Boulez… via via fra Ravel, Stravinskij, Mahler fino a un epilogo che accosta i Madrigali guerrieri et amorosi di Monteverdi al celeberrimo 4’33'’ di John Cage. Celeberrimo? Può darsi, anche se non è proprio frequente trovarlo nei programmi dei concerti, com’è ben prevedibile per un pezzo che si basa essenzialmente sull’effetto sorpresa. Non potremo sapere se la maggior parte del pubblico avesse effettiva contezza del fatto che, in questo pezzo, gli esecutori devono tacere per il tempo esatto prescritto dall’autore, tuttavia dovremo riscontrare come, un po’ per consapevolezza un po’ per educazione, il brusio fosse ridotto al minimo. Paradossalmente, durante una sinfonia o una sonata, in un pianissimo o un cantabile, è più frequente esser disturbati da scartocciare di caramelle (pare che l’esistenza di confezioni prive d’incartamento singolo in croccanti rettagolini plastificati sia del tutto ignota a molti frequentatori di teatri e auditorium), suonerie varie di cellulari e altri apparecchi, borbottii di sorta. Chissà cosa avrebbe pensato Cage dell’accoglienza attuale, rispettosissima, di questo suo all’epoca provocatorio elogio del silenzio in musica e del “rumore di fondo”.
Certo, la sospensione di 4’33’’ è la miglior conclusione per questo viaggio, un istante di musica muta in cui si possono condensare le sollecitazioni dell’ora precedente. Un’ora nella quale, soprattutto, hanno colpito le fusioni fra antico e moderno, fra i classici del XIX secolo e le voci del XX. O’King di Berio s’insinua nel lamento di Gretchen am Spinrade con un’esattezza sorprendente, sottolineando l’incedere rapido dell’implacabile ruota d’arcolaio con lo schioccare delle sue sferzate ritmiche, come singhiozzi, finché il canto di Margherita non si trasforma in altro, con la radicale naturalezza delle carni di Dafne mutata in alloro nel marmo del Bernini. Nondimeno il pulviscolare e frenetico Finale:presto dalla seconda Sonata per pianoforte di Chopin si fonde in innata affinità con la Serenata per un satellite di Maderna, pianoforte ottocentesco da una parte ed ensemble novecentesco dall’altra accostati e uniti indissolubilmente. Dalla Valse di Ravel si scivola nel Tango di Ravel – due balli differentemente peccaminosi, differentemente popolari nelle origini e raffinati nell’evoluzione – prima di una nuova callida iunctura, ancora Berio (Winds of May) questa volta sposato al Mahler di Des Antonius von Padua Fischpredigt. Sembrano fatti l’uno per l’altro, a scambiarsi ironie, sinuosità e spigoli, ritmi e timbri.
Se Calvino non riuscì a scrivere il suo saggio sulla Coerenza e la sesta lezione manca ufficialmente dal programma, la si ritrova sullo sfondo, nella capacità di non forzare la natura dei brani pur offrendone una particolare chiave di lettura, nella convinzione con cui tutti gli artefici concorrono alla realizzazione della serata, nella cura amorosa del dettaglio e nella qualità tecnica sia della prova vocale e strumentale, sia della regia sonora (Nicola Evangelisti), dell’interazione con gli interventi preregistrati e della gestione degli effetti.
Doveroso citare la duttilità della voce di Valentina Coladonato, la chiarezza musicale e la passione contagiosa del suo approccio a questo repertorio, così come l’impeccabile direzione di Francesco La Licata, guida nettissima anche negli intrecci più complessi, e, nondimeno, Lavinia Gullari (flauto), Marco Ignoti (clarinetto), Simone Cinque (corno), Alice Caradente (arpa), Irene Puccia e Franco Venturini (pianoforte e tastiera), Claudio Jacomucci (accordeon), Valentino Corvino e Giacomo Scarponi (violini), Corrado carnevali (viola), Sebastiano Severi (violoncello), Emiliano Amadori (contrabbasso), Paolo Aralla (curatore del progetto sonoro insieme con La Licata ed Evangelisti).
Bis travolgente all’insegna di Ligeti a liberare ancora una votla l'energia che Fontanamix ha infuso in queste Lezioni Americane. Energie ben indirizzate, con Coerenza, Leggerezza di spirito, Rapidità di ritmo teatrale, Esattezza musicale, Visibilità nelle immagini e nel suono e Molteplicità di stili e suggestioni.