Oltre l'orizzonte di Chopin
di Roberta Pedrotti
A due anni dal celebre concerto in cui interpretò le Variazioni Goldberg pochi giorni prima di partorire la sua secondogenita, Maria Perrotta torna a Lugo per un programma tutto dedicato a Chopin. Un'esplorazione a tratti rivelatrice, a tratti perfino inquietante, dell'opera del grande polacco, che si spera possa essere presto consegnata al CD
[Guarda l'intervista a Maria Perrotta]
LUGO, 21 gennaio 2014 - Il palcoscenico è nudo, ed è bellissimo così: senza quinte, senza fondale, senza cieli. Nella sua essenzialità che non pregiudica l'acustica (anzi l'aiuta, in una sala così piccola, tant'è vero che l'accorgimento è stato attuato per una registrazione che speriamo possa trasformarsi presto in un nuovo CD live ufficiale) ma rende ancor più significativa l'occasione e la dedica a Claudio Abbado. L'immagine del lucido Steinway e della pianista in abito da sera sono sospesi nel vuoto, ma in un vuoto solo apparente, che svela nella pareti nude, nei tiri, nelle scale, nelle cantinelle appoggiate al muro, nei ballatoi e nella graticcia tutto il lavoro che sottende all'espressione artistica. Quello degli artigiani dietro le quinte come lo studio, la disciplina e l'esercizio del musicista sul palcoscenico. Arte e lavoro, senza fronzoli: una delle migliori sintesi possibili per onorare il Maestro e i suoi valori.
La forma nulla sarebbe senza contenuto, e se l'immagine è tanto forte è perché l'esecuzione è magnifica e il percorso monografico dedicato a Chopin si dipana con una profondità perfin perturbante. Maria Perrotta non sembra aver nulla della diva e della primadonna, è semplicemente un'artista e una musicista. Ma come da questa semplicità e naturalezza del porgere sgorghi una tale equilibratissima complessità di pensiero, lascia percepire una grandezza ancor più abbagliante e perturbante perché quasi dissimulata, concentrata nell'intimità riservata dell'artista e trasfusa, quasi distillata nell'esecuzione.
Il pianismo della Perrotta sfugge a ogni tentativo di catalogazione, nel suo comprendere diversi elementi e più dimensioni si fa chiaro ma imperscrutabile; non c'è semplicemente un equilibrio fra la cantabilità e la verticalità, fra il lirismo e la razionalità analitica; non una medietas, foss'anche aurea, bensì una sorta di alchimia in cui gli opposti sono amalgamati in virtù d'una qualche forza misteriosa, d'un elemento catalizzante inafferrabile.
Si realizza così anche l'essenza di quel comune sentire, di quella koiné che unisce idealmente a Parigi il polacco Chopin con gli italiani Rossini, Bellini e Donizetti e che non coincide con la pura e semplice evidenza del senso del melos tanto caro alla retorica transalpina della sorgiva cantabilità mediterranea e italiana. Non fu Chopin ad apprendere il lirismo dall'opera, non furono gli operisti a incontrare l'armonia a Parigi: il linguaggio era comune, fatto di scambi e suggestioni molto più sottili e sfumate, e il repertorio delle varie soirées musicales dei nostri compatrioti, vocali o solo strumentali che fossero, non può considerarsi giustapposto, né tantomeno subordinato a quello pianistico di autori come Chopin. L'occhio e le dita dell'interprete avvezza a Bach rende intellegibili il dipanarsi e l'interagire di ogni dimensione della partitura, coglie nel rapporto fra orizzontalità e verticalità una serie di modi e aromi armonici peculiari, di dettagli ritmici che ci appaiono come fulminee epifanie di un linguaggio musicale comune, condiviso, e pure profondamente interiorizzato e rivissuto. Ci piacerebbe ascoltare Maria Perrotta che affianca e alterna Chopin ai Péchés de vieillesse di Rossini. Si potrebbe concretamente gettare uno sguardo oltre l'orizzonte degli eventi musicali dei salotti parigini degli anni '30 e '40 dell'Ottocento.
In questo programma monografico ascoltiamo i Tre notturni op. 9, la Berceuse in re bemolle maggiore op.57, la Tarantella in la bemolle maggiore op. 43, l'Andante spianato et grande Polonaise Brillante in mi bemolle maggiore op. 22, la Ballata n. 4 in fa minore op. 52 e la Sonata n.3 in si minore op. 58. Un bell'alternare di schizzi e grandi forme, di abbandoni e virtuosismi che danno alla Perrotta l'occasione di esplorare il suo profondo sentire chopiniano, di esprimere quelle intuizioni abbacinanti di cui si è detto e che svelano il pensiero strutturale alla base di ogni pezzo. Non troviamo il virtuosismo trascendentale, ma la brillantezza di una cabaletta in cui l'espressione e la coloratura (vocale o digitale cambia, ovviamente, nei principi tecnici, ma non nella sostanza estetica) vanno di pari passo, in un suono morbido e umbratile quanto acuto e analitico, corposo e sottile, sottilmente inquietante.
Davvero una prova che s'imprime nella memoria e apre nuove prospettive per un'artista non appariscente, ma di concretissima sostanza artistica, tutta da esplorare e scoprire nei meandri del repertorio pianistico.
La sala è concentrata, il pubblico entusiasta, il bis d'obbligo l'Aria dalle Variazioni Goldberg, ricordo dell'eclatante debutto lughese della Perrotta, esattamente due anni fa. Un concerto che fece parlare molto, perché la pianista si esibì al nono mese di gravidanza proprio nella raccolta bachiana. Non un gesto spettacolare e prodigioso, ma la semplice affermazione della meravigliosa normalità dell'essere donna, mamma e musicista.