L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Piotr Beczala e Dmitri Hvorostosvskij

Alla corte del Re

 di Andrea R. G. Pedrotti

Grande prova di Piotr Beczala nel Ballo in maschera alla Wiener Staatsoper, nell'allestimento tradizionale, anche se non fedele al libretto per la sua ambientazione svedese, di de Bosio, con Jesus Lopez-Cobos a capo degli eccellenti complessi del teatro. Non sono da meno il carismatico Dmitri Hvorostovsky come Renato e l'elegante e appassionata Krassimira Stoyanova nei panni di Amelia.

VIENNA, 26 aprile 2016 - Un ballo in maschera è notoriamente uno dei massimi capolavori di uno dei più grandi geni della storia della musica. Assistervi nella cornice di una delle migliori istituzioni musicali del mondo è certamente un privilegio, specialmente se a delle maestranze dall’eccelsa qualità va ad aggiungersi una compagnia di canto che in Italia sarebbe immaginabile solo in occasione d’una grande inaugurazione stagionale.

La regia di Gianfranco de Bosio è inquadrata nei canoni della più rigorosa tradizione, fondali e profondità dei vari ambienti sono figurati mediante l’ausilio di scene dipinte mobili, sovrapposte fra loro. L’immagine baroccheggiante è appropriata in quanto alla convenzione registica si contrapponeva la non filologica versione dell’opera ambientata nella corte svedese, in ossequio alla fonte storica e letteraria (Gustave III, ou Le Bal masqué di Eugène Scribe) del soggetto, censurata e trasposta a Boston nel libretto.

Il palazzo di Gustavo III è opulento, come si confà a un monarca del suo lignaggio e gli elementi d’arredo sono essenziali, vista la ricchezza dei fondali. L’unica concessione alla maniera alberga nell’antro di Ulrica, la quale si prodiga in vistose gestualità esoteriche nel maneggiare pozioni fra fiammate e improvvise candide fumate.

L’orrido campo è anch’esso rappresentato attraverso l’utilizzo di fondali, questa volta dalle tinte maggiormente cupe, e, come per i quadri precedenti, da pochi movimenti essenziali, in linea didascalica con le indicazioni del libretto di Antonio Somma. La scena del ballo è, molto probabilmente, la meglio riuscita, visto il massiccio impegno dei danzatori del teatro nazionale viennese ad accompagnare le musiche verdiane.

La buona resa visiva di una regia non troppo approfondita sul piano dello studio dei caratteri dei protagonisti - nel contesto di una vicenda di gelosia, amore e morte - è sicuramente merito della personalità e del carisma degli artisti impegnati.

Se il protagonista tenorile doveva trasformarsi da governatore a Re, era necessario che venisse scritturato un interprete regale, come è stato uno straordinario Piotr Beczala. L’artista polacco è carismatico e disinvolto sul palcoscenico, immediatamente salutato dal tripudio del pubblico dopo una splendida esecuzione della sortita “La rivedrà nell'estasi”. Squillo, proiezione, gestione dei fiati, espressione e cura del fraseggio sono di altissimo livello. È superlativo nel duetto con Amelia “Non sai tu che se l'anima mia”, probabilmente il brano più applaudito dell’intera serata, al quale il pubblico di Vienna ha regalato il suo incontenibile e meritato entusiasmo. Beczala è perfetto anche nella scena finale “Ella è pura; in braccio a morte”, confermandosi uno dei migliori tenori schiettamente lirici oggi in circolazione.

Di rilievo anche la prova di Dmitri Hvorostovsky, il quale affronta il ruolo di Renato/Ankarström con stile, classe e bella linea di canto. Gran carisma ed eleganza nella sua presenza scenica. Gli accenti e l’espressione sono dosati con gusto, senza che venga meno il tormento della gelosia, che lo porterà all’omicidio di Gustavo III. Notevole, in particolare, l’esecuzione dell’aria “Eri tu che macchiavi quell'anima”, con il baritono russo a stringersi il capo fra le mani, in preda allo sconforto e alla disperazione. Al termine dell’esecuzione la sua passionalità è stata premiata da un’autentica ovazione dei presenti.

Meravigliosa anche l’Amelia dell’ottima Krassimira Stoyanova: protagonista di una serata in gran crescendo, ella è agli stessi livelli di Beczala nel duetto del secondo atto, ottima nella gestione dei fiati. Il timbro è morbido e pastoso, mentre il fraseggio è passionale, ma di straordinaria eleganza. Splendida la sua esecuzione della supplica “Morrò, ma prima in grazia”, specchio di un animo femminile, capace di sublime slancio emotivo (alle volte disordinato), ma, al contempo, nettamente superiore a quello maschile di fronte alle difficoltà, capace di contegno, ponderazione, lungimiranza per sé e per i suoi cari.

Ulrica è stata interpretata dalla brava Nadia Krasteva, abile nel seguire al meglio le indicazioni registiche, che immaginano la veggente come una fattucchiera zingara. La voce del mezzosoprano arriva al pubblico con una buona ricchezza di colori e di armonici. Belli il fraseggio e gli accenti.

Oscar era il soprano israeliano Hila Fahima, la quale ha saputo far fronte a un mezzo vocale ancora in via di maturazione con un notevole controllo. Le agilità sono precise, l’estremo acuto è eseguito con gran disinvoltura ed è ottima la resa scenica.

Cristiano (Silvano nell’edizione consona) era Igor Onishchenko, mentre i conti Horn e Warting (Samuel e Tom) erano Alexandru Moisiuc e Sorin Coliban, ill Giudice e il Servo d'Amelia Thomas Ebenstein.

Le scene erano a firma di Emanuele Luzzati e i costumi di Santuzza Calì.

Dal podio la bacchetta di Jesús López Cobos comanda bene l’insuperabile orchestra della Wiener Staatsoper, che grazie alle sue eccezionali sonorità nei bassi e a degli ottoni spettacolari si palesa quale complesso perfetto per affrontare al meglio una partitura come quella di Un ballo in maschera. Considerato che il concertatore si trovava alla testa di una delle migliori orchestre al mondo, sarebbe stato preferibile che alcuni tratti emozionali del secondo atto venissero affrontati con maggior solennità, accentuando nei tempi l'incedere misterioso dell'"ombra dei passi spietati” contrapposto allo straniamento di Renato, schernito da ognuno, fuorché Amelia e Gustavo.

Come sempre eccezionale anche il coro della Wiener Staatsoper, dal colore unico, precisione encomiabile, omogeneità ammirabile e, come se non bastasse, grande capacità scenica.

Posto d’onore, fra le maestranze, al Wiener Staatsballet, composto dagli studenti dell’accademia della Wiener Staatsoper. Al pari dei colleghi delle altre componenti del settore artistico, si dimostra perfetta compagine di danza. La presenza del corpo di ballo conferisce dinamicità a un ultimo quadro che risulterebbe registicamente fin troppo statico.

Questa produzione è l’ennesima dimostrazione di come la dedizione al lavoro, con applicazione e sacrificio, possa portare ai massimi risultati internazionali, senza essere vincolati dalla necessità di ottenere un risultato a ogni costo solo per celebrare l’ipertrofia del proprio ego. Questo accomuna il palco e la platea, una platea composta da un pubblico entusiasta, che conosce la musica, la danza e il melodramma alla perfezione, ma si avvicina alle produzioni con l’umiltà e l’entusiasmo di ammirare sempre cose nuove.

foto Michael Pöhn


 

 

 
 
 

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