Il fascino di un canto in disfacimento
di Claudio Vellutini
Torna a San Francisco il capolavoro di Janáček nella lettura sensuale e atipica di Nadja Michael nei panni dell'enigmatica, immortale protagonista.
SAN FRANCISCO, 23/10/2016. Il caso Markopulos di Leos Janáček ha un rapporto privilegiato con l’Opera di San Francisco. Qui l’opera ricevette la sua prima rappresentazione americana nel 1966, quarant’anni dopo la prima assoluta di Brno, e qui è tornata a intervalli regolari fino alla produzione di questa stagione, una ripresa dello spettacolo lineare ed efficace di Olivier Tambosi (scene e costumi di Philipp Schlössman, luci di Duane Schuler) già proposto nel 2010. L’impianto scenico rotante è dominato da un grande orologio, metafora di una vita—quella della protagonista—caratterizzata da un’alterata percezione dello scorrere del tempo.
Sei anni fa la scelta di quest’opera era giustificata dalla presenza di Karita Mattila. In questa occasione l’onore e l’onere del ruolo principale è ricaduto sulla ben diversa personalità vocale e scenica di Nadja Michael. Per la Mattila, la protagonista del Caso Makropulos costituiva un importante momento di passaggio all’interno di un percorso interpretativo che ha portato il soprano finlandese a sostituire le eroine “positive” del teatro di Janáček (Jenufa e Kat'a Kabanova) con figure femminili atipiche, quali Kostelnichka e, per l’appunto, Elina Makropulos, una cantante d’opera apparentemente giovane ma che in realtà, per effetto di una pozione creata da suo padre, ha più di trecento anni. A quest’ultimo personaggio la Mattila portava in dote il fascino di una vocalità salda e un porgere scenico di distaccata eleganza—qualità che sembrerebbero imprescindibili per ritrarre una cantante dalla straordinaria tecnica sviluppata in tre secoli di carriera, grande fascino ma dai sentimenti gelidi. Discorso diverso per Nadja Michael, che, al netto di una tecnica vocale discutibile, ha pure fascino da vendere ma di tutt’altra natura: sfacciatamente fisico, prepotentemente erotico, tutto giocato sull’atleticità di un corpo di felina sinuosità. Se il personaggio della Mattila trasformava in atto pratico la lettera del capolavoro di Janáček e ne seguiva l’implacabile traiettoria, quello della Michael vive in una dimensione teatrale tutta sua, riversando in sala il senso di magnetismo e attrattiva che gli altri personaggi dell’opera nutrono nei confronti dell’enigmatica protagonista. È impossibile staccare gli occhi dalla cantante, tale è la forza prorompente della sua recitazione. Ma l’evoluzione del personaggio risulta in parte compromesso: fin da subito questa Elina Makropulos è vittima del proprio destino, in preda ad un disfacimento vocale che punta senza mezzi termini all’esito tragico della vicenda. Nel complesso, una prova di grande impatto che dimostra l’intelligenza di un’artista capace di creare una visione originale del personaggio mettendo a frutto le proprie peculiari (e, diciamo pure, idiosincratiche) caratteristiche vocali e drammatiche.
Il resto del cast faceva da onesto contorno. Il tenore Charles Workman, dismessi i panni dei ruoli belcantistici affrontati precedentemente, sta vivendo una seconda giovinezza professionale nel repertorio novecentesco, come dimostrato dalla sua convincente resa del personaggio di Albert Gregor. Eccellenti gli altri due tenori caratteristi, Joel Sorensen (un Vítek di ammirabile verve) e Brent Ryan, Janek fresco e giovanile. Julie Adams, allieva del Merola Opera Program (il programma per giovani cantanti dell’Opera di San Francisco), ha affrontato il ruolo di Kristina con sicurezza e pieno possesso dei propri cospicui mezzi vocali. Più in sordina, ma sempre entro i livelli di un decoroso professionismo, la prova dei due bassi, Stephen Powell (Barone Jarosal Prus) e Dale Travis (Dr. Kolenatý). Completavano il cast Zanda Švēde, impegnata nel doppio ruolo della Donna delle pulizie e della Cameriera, e Brad Walker (Attrezzista).
Al suo debutto a San Francisco, il direttore russo Mikhail Tatarnikov ha diretto con passo narrativo spigliato e incisivo. Talora, tuttavia, avremmo gradito una maggiore cura dei dettagli tecnici. I passaggi più scopertamente impegnativi, infatti, mettevano in luce alcune defaillances di intonazione negli archi o di insieme che non sembravano giovare all’effetto complessivo della resa strumentale.
foto ©Cory Weaver/San Francisco Opera