L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

don giovanni, teatro alla scala

Chi son io tu non saprai

 di Pietro Gandetto

Il Don Giovanni secondo Robert Carsen ritorna alla Scala dal 6 maggio al 7 giugno, confermando i buon esiti dell’apertura meneghina 2011/2012. Nella compagine vocale, s’impone il Leporello di Luca Pisaroni e la Donna Anna di Hanne Müller. Riserve sulla direzione di Paavo Järvi.

Leggi la recensione della stessa produzione in DVD (2011)

Milano, 6 maggio 2017. Voglia di bello e voglia di nuove voci. Se queste sono le esigenze del pubblico, il Don Giovanni secondo Carsen in scena alla Scala ha fatto centro.

Ogni produzione di Robert Carsen è come una sfilata di Giorgio Armani in cui intelligenza, ironia ed eleganza si alternano come i capi di una collezione. Il regista canadese concepisce un Don Giovanni esistenzialista, che assapora la vita in maniera sofisticata e con il dovuto distacco dalle cose terrene. Non è interessato né al potere, né alla semplice seduzione fine a sé stessa, essendo un libero pensatore che ha percepito con lucidità la finitezza della vita e vuole vivere ogni istante come se fosse l’ultimo. Da ciò emerge una figura positiva, che non ha troppe colpe, se non quella di essere nato in un mondo dotato di regole a lui inefficaci. Re del trasformismo, il dissoluto resta sempre sé stesso, cambiando d’abito a ogni nuova conquista, ché la bulimia erotico-sentimentale non è mero appagamento narcisistico, ma la condicio sine qua non della sua sopravvivenza.

Oltre al mito del seduttore, lo spettacolo è un omaggio al mito della Scala, non privo di quella brillante ironia carseniana, che si declina attraverso le più svariate citazioni, tra cui quella dell’indimenticabile Eyes wide shut. Il continuo inseguirsi di scene corte e lunghe raffiguranti il Piermarini e la moltiplicazione della sala riflessa creano “traiettorie impercettibili, codici di geometria esistenziale”, direbbe Battiato. Il risultato qual è? Che non sappiamo mai chi sia realmente Don Giovanni: forse il predetto narcisista, forse la Scala, forse il concetto stesso di teatro. Insomma, il fuoco della parabola è il mito, e l’energia che esso sprigiona sul pubblico. Un mito immortale, per definizione, tant’è vero che il Don non muore mai, e anzi sprofondano agli inferi coloro che l’hanno giudicato secondo le umane leggiuncole.

Coglie appieno l’essenza del personaggio il protagonista Thomas Hampson al suo debutto operistico alla Scala nonostante la pluristellare carriera internazionale (leggi l’intervista). Il baritono americano ha tutto il carisma e la forza per focalizzare l’attenzione su di sé, dando vita a un elegante dandy che ben esprime il fascino magnetico di Don Giovanni, il suo coraggio e quell’antinomia tra Eros e Thanatos che caratterizza il dissoluto impunito. La resa vocale è intermittente, con alcuni momenti poco a fuoco e alcune imprecisioni nei recitativi: anche in un artista della sua esperienza può farsi sentire l'emozione dell'esordio nella mitica sala del Piermarini celebrata in questo spettacolo.

Perfetto contraltare del protagonista è il Leporello di Luca Pisaroni [leggi l'intervista], dotato della disinvoltura e del piglio tipiche di chi Mozart lo conosce bene. L’emissione sicura e il fraseggio variegato gli consentono di delineare un Leporello ironico e materico, ma mai volgare o macchiettistico. L’aria del catalogo scorre con varietà di colori e dinamiche e non vi è nota, passaggio o frase che non siano adeguatamente pensati e rifiniti.

Mattia Olivieri conferma l’alto livello delle sue precedenti apparizioni scaligere e plasma un Masetto ipercinetico ed espressivo. Qualche perplessità su Don Ottavio di Bernard Richter, dotato di voce ampia e di bel colore, ma con qualche problema soprattutto nelle grandi arcate delle due arie, prive della dovuta tensione drammatica. Analogamente più che perfettibile il Commendatore di Thomas Konieczny, la cui pronuncia marcatamente “germanica” lo ha portato a tramutare le “a” in “e”.

Il versante femminile regala momenti piacevoli. La giovane Hanna Elisabeth Müller, nel ruolo di Donna Anna, possiede un materiale di prim'ordine e lo utilizza con intelligenza. Il volume è torrenziale, il timbro cremoso e la tessitura gestita senza sforzi. "Or sai chi l’onore" è cantato con tutto l’orgoglio che si confà al personaggio e gli occhiali da sole scuri (in uno con gli splendidi costumi di Brigitte Reiffenstuel) ne fanno un’autentica Audrey Hepburn mozartiana. Anett Fritsch è un’Elvira ai limiti dell’isterìa: centra il personaggio ma l’eccessivo vigore scenico ha talvolta nociuto a una performance vocale comunque buona. Giulia Semenzato è una splendida Zerlina, cha ha tutta la frivolezza della giovane contadina, pur senza abdicare alla propria incisività.

La direzione di Paavo Järvi è parsa intensa e misurata nei momenti più sinfonici e lirici della partitura, ma assai blanda quando l'azione incalza, o nei recitativi). In generale, è mancata un’adeguata tenuta delle singole sezioni nei passaggi d’insieme, come il terzetto del primo atto, dove ognuno pareva andare per i fatti suoi. Note positive, in ogni caso, dall’orchestra della Scala, in cui spicca la sezione dei violoncelli.

Il pubblico è estremamente coinvolto dallo spettacolo e soprattutto dall’idea di collocare il Commendatore nel palco reale e altri cantanti in platea risulta vicente. Un grande omaggio alla Scala e al teatro in generale e una conferma che in questi tempi difficili, l’arte può ancora appagare la nostra voglia di stupirci ed emozionarci.

foto Brescia Amisano


 

 

 
 
 

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