La parete di Occam
di Antonino Trotta
Prima assoluta della Maria Stuarda di Donizetti al Teatro Carlo Felice di Genova: il secondo titolo del trittico donizettiano riscuote grande consenso di pubblico. Ottima performance per Celso Albelo e Silvia Tro Santafé.
Leggi la recensione del cast alternativo: Genova, Maria Stuarda, 20/05/2017
GENOVA, 21 Maggio 2017 – Quasi in conclusione di una stagione operista molto ricca, arriva al Carlo Felice di Genova Maria Stuarda, melodramma in tre atti di Gaetano Donizetti su libretto di Giuseppe Bardari. L’operazione “trilogia Tudor” intavolata dal Carlo Felice, che ha visto i natali lo scorso anno con Roberto Devereux, era stata progettata con una struttura architettonica che prevedeva come pilastro portante Mariella Devia nei panni delle tre regine donizettiane (Anna Bolena, Maria ed Elisabetta). Come ammesso dai presentatori durante la diretta internet della prima di questa Stuarda, la Devia, che ha preso parte al precedente Devereux, ha deciso di rimuovere definitivamente il titolo dal suo repertorio.
Il nuovo allestimento, in coproduzione con il teatro Regio di Parma, sottopone il capolavoro donizettiano a una lettura metateatrale firmata Alfonso Antoniozzi. L’espediente narrativo del teatro nel teatro, tuttavia, si sostanzia soltanto in pochi momenti dell’intero sviluppo drammaturgico: durante l’overture le due regine sono sedute dinnanzi a due tolette per prepararsi a calcare il palco, nei cambi si lascia vedere gli operatori che spostano gli elementi decorativi, alla fine del duetto Elisabetta e Leicester si congratulano l’una con l’altro. Il tutto celato da un sipario trasparente, una “quarta parete” che svela la magia del teatro e obbliga lo spettatore ad accettare la realtà scenica senza alcun coinvolgimento razionale o emotivo. Al di là di queste piccole soluzioni, i movimenti dei cantanti sul palco non appaiono diversi da quelli che confarebbero a una rappresentazione “tradizionale”, affievolendo dunque la portata della scelta registica.
Le scenografie di Monica Manganelli ricordano moltissimo quelle del Roberto Devereux, in particolare nell’enorme palco ovale in legno che invade quasi tutto l’intero spazio scenico e nel mobilio che riporta all’epoca elisabettiana. Assenti in ogni scena elementi di chiaro richiamo alla ambientazioni indicate da libretto: nessun dettaglio, anche simbolico, differenzia il «parco di Forteringa» dalla «galleria nel palagio di Westminster». Più in linea con l’idea del regista sono i costumi di Gianluca Falaschi. Gli abiti sono eccentrici, a tratti caricaturali, scintillanti, in contrasto con l’illuminazione tetra (curata da Luciano Novelli) che avvolge le scenografie in ogni momento dell’opera. A sottolineare l’impostazione registica, i coristi figurano con una lunga veste nera e una sobria maschera teatrale, quasi a riecheggiare i cori della tragedia greca. Unico elemento temporalmente contestualizzante è la grande gorgiera che cinge il loro collo.
Eccezionale Celso Albelo nei panni del conte di Leicester, ruolo interpretato anche al Metropolitan di New York. In un’opera come Maria Stuarda, il personaggio tenorile di Roberto rischia di essere obnubilato dalle due primedonne, a cui Donizetti ha riservato un grande spessore drammaturgico e musicale. Il tenore spagnolo invece è riuscito a puntare i riflettori su di sé con grande intelligenza e arguzia musicale. Forte della sua facilità nella tessitura alta, riesce a emergere a suon di acuti anche nella famosa “scena del confronto”, il concertato che chiude il secondo atto. La voce è emessa in maniera corretta, luminosa e ricca di sfumature dinamiche. Significativo è il terzetto del terzo atto (Leicester, Elisabetta e Cecil) dove Albelo affronta con grande slancio le agilità della stretta, che conclude con una puntatura sul mi bemolle.
Non meno entusiasmante è l’Elisabetta di Silvia Tro Santafé. Dotata di una voce dal colore uniforme in tutta la tessitura, timbrata, sicura e squillante negli acuti, regala al pubblico genovese una regina di grande carattere, arcigna e determinata. Perfettamente a fuoco dall’inizio, esibisce subito grande facilità nelle agilità della cabaletta del primo atto («Ah! Dal ciel discenda un raggio»). Interessanti gli accenti della sua Elisabetta che conferiscono al personaggio grande fierezza. Molto avvincente è il duetto con Albelo in conclusione del primo atto, in cui i due artisti intavolano un confronto dialogico molto serrato, che brilla per limpidezza del fraseggio, precisione nell’intonazione e luminosità negli acuti.
Più in sordina invece è la Stuarda di Elena Mosuc. Il soprano romeno, tra i più famosi soprani di coloratura degli ultimi anni, dipinge progressivamente una Maria cangiante e fatta di contrasti. Inquieta all’inizio del secondo atto, furente nel confronto con Elisabetta e appassionata in conclusione dell’opera, la Maria della Mosuc vocalmente risente della mancata fermezza della voce che, soprattutto nei momenti di maggiore caratura drammatica - ad esempio nel tempo lento della sua cavatina «Oh nube! Che lieve per l’aria ti aggiri» -, inficia la chiarezza della linea musicale. Grande temperamento nella cabaletta «Nella pace del mesto riposo», dove la Mosuc non esita a lanciarsi in spericolate variazioni (non tutte perfettamente a segno). Belli gli accenti del «Figlia impura di Bolena». Il canto è molto più convincente nei momenti di maggior lirismo come «Deh! tu di un’umile», la preghiera nel finale del terzo atto, dove la Mosuc dispiega un canto più morbido e ricco di dinamiche. Al di là delle mende di cui sopra, il pubblico le riserva gli applausi più calorosi della serata.
Assolutamente all’altezza del ruolo sono i comprimari Andrea Concetti (Talbot), Stefano Antonucci (Cecil) e Alessandra Palomba (Anna). Buona la prova del coro, nonostante non appaia sempre equilibrato.
A coadiuvare l’intero apparato musicale c’è Andriy Yurkevych, che sfoggia un’elegante lettura delle pagine donizettiane. Il direttore ucraino intavola un suono molto nitido, le dinamiche sono pronunciate e ricche di sfumature, l’equilibrio buca-palcoscenico è controllato con estrema sapienza, ma alcune scelte agogiche penalizzano i cantanti in diversi momenti.
Il grande successo di questa Maria Stuarda testimonia la riuscita di questo ambizioso progetto teatrale. Non ci resta che aspettare la terza ed ultima regina.
foto Marcello Orselli