La bontà quasi in trionfo
di Giuseppe Guggino
È una delicata operazione nostalgia quella che – dopo aver toccato il Teatro del Giglio di Lucca e l’Alighieri di Ravenna nello scorso inverno – approda al Luglio Musicale Trapanese con la ricostruzione dell’allestimento della Cenerentola rossiniana concepito nel 1978 da Lele Luzzati per il Teatro Regina Margherita di Genova. Nel cast si segnala la prova di Paola Gardina debuttante con buon successo nel ruolo di Angelina.
Trapani, 25 luglio 2017 - Rivedere una Cenerentola con le scene dipinte e i magici costumi fiabeschi di Lele Luzzati sarebbe stata la realizzazione di una delle operazioni culturali auspicate da Gianandrea Gavazzeni negli anni ’80 del secolo scorso. Né, di contro, può negarsi il fascino che una drammaturgia così ben congeniata riesce a mantenere in una cornice siffatta; le scene dipinte da Enrico Musenich, con gli antichi espedienti di poter tirare su e giù una tela dipinta su entrambe le facce, rendono l’azione priva di soluzioni di continuità, impreziosita da costumi a dir poco geniali, riportati a primigenio splendore grazie ad un paziente lavoro di restauro. Insomma, tutto perfetto per una serata deliziosa se non fosse stata la regia ripresa da Aldo Tarabella a calcare la mano troppo sul versante farsesco con gags e qualche passo ritmato di cui lo spettacolo avrebbe tratto giovamento a non servirsi.
Costruire una Cenerentola musicale funzionante e degno contraltare dello spettacolo di Luzzati è obiettivo quanto mai ambizioso, sia per l’innegabile bellezza dell’allestimento che per la necessità di restituire alla scrittura rossiniana tutta la trasparenza cristallina con la quale è concepita. Qui le cose riescono solo parzialmente; al salto indietro nel tempo praticato con l’allestimento ne corrisponde uno non altrettanto auspicabile nel campo della filologia rossiniana, per cui massima è la solidarietà per la mano di solido mestiere di Dejan Savić, chiamata a far quadrare i conti pur lavorando verosimilmente su parti e materiale piuttosto problematici, garantendo comunque un risultato dignitoso e talvolta più che dignitoso. I nodi si avviluppano con la realizzazione di una scrittura vocale che necessita certamente di specialisti del genere. Se da un lato non si può che lodare la preparazione del coro maschile preparato da Fabio Modica, dall’altro occorre invece sorvolare sull’emissione e sull’accanimento negli acuti del Don Ramiro di Enrico Iviglia così come sulla risposta sorda nel sillabato grave di Vincenzo Nizzardo in un ruolo certamente non esteso quale è quello di Don Magnifico. Tra le sorellastre Isabel De Paoli (Tisbe) lascia intravedere un materiale più pronto rispetto a quello di Paola Santucci (Clorinda). Pablo Ruiz si sforza palpabilmente di realizzare un Dandini misurato ed esibisce una maggiore pertinenza stilistica rispetto ai colleghi, tuttavia le numerose agilità del ruolo lo trovano piuttosto sguarnito e trasformare le quartine del nodo avviluppato in terzine per un cantante rossiniano dovrebbe essere considerato un peccato di quelli non veniali. Maggiore grado di risoluzione raggiunge Matteo D’apolito nel ruolo di Alidoro, che si produce in un “Là del ciel nell’arcano profondo” piuttosto accurato.Infine Paola Gardina, al debutto come Angelina, sembra aver chiaro su cosa poter puntare; lo strumento non è ampio, ma la voce non è priva di una certa malìa, per cui il tagli interpretativo vincente non può che essere quello di disegnare un’Angelina in chiave patetica, curando molto bene le legature, mostrando una coloratura ancora in rodaggio ma sufficiente a siglare comunque un recitativo e rondò finale estremamente personale ed agguerrito, che conquista il pubblico trapanese.