Il precipizio del potere
di Roberta Pedrotti
Con la direzione di Fracesco Lanzillotta e le voci di Nicola Alaimo, Carlo Lepore, Salome Jicia e Dmitry Korchak, Torvaldo e Dorliska riscuote un meritato successo al Rof.
PESARO, 12 agosto 2017 - “Un lungo, maliconico, noioso polemico strambotto! Barbaro gusto! Secolo corrotto!” Anche nell'autoironia appare spietato Cesare Sterbini quando mette in bocca a Don Bartolo questa chiara allusione al successo non strepitoso del suo precedente libretto per Rossini. Eppure il “dramma semiserio" in questione, Torvaldo e Dorliska, non è un testo da sottovalutare e, come molti altri lavori appartenenti al genere, presenta finezze e sottintesi politici degni di nota, perfino nell'aria di sorbetto apparentemente più futile che si possa immaginare. “Sopra quell'albero vedo un bel pero”, buffa ai limiti del nonsense cantata dal capo degli sgherri del Duca fra una scorreria e l'altra, sembra la profezia burlesca del drammatico rivolgimento dell'epilogo: il tentativo di cogliere frutti sempre più succosi e inavvicinabili si risolve in una clamorosa caduta esattamente come l'hybris del Duca d'Ordow e i soprusi culmiati nel tentativo di strappare Dorliska al marito ispireranno la rivolta dei sudditi e la condanna del tiranno. E questo è il soggetto di Torvaldo e Dorliska: non tanto l'avventura della coppia, quanto il potere, il rapporto del Duca con i suoi sottoposti e in particolare con Giorgio, l'uomo a lui più vicino e l'istigatore dell'insurrezione, le dinamiche che porteranno alla caduta del signore feudale. A quest'ultimo, nella precedente edizione pesarese (2006), Michele Pertusi aveva conferito un fascino sinistro e irresistibile; oggi ne raccoglie il testimone Nicola Alaimo, che serve con devozione non minore un personaggio tra i più potenti e intriganti del catalogo rossiniano, ma lo fa, naturalmente, in maniera affatto personale. Del suo Duca emerge così l'aspetto umano, una sorta di tenerezza, anche nel trasporto sensuale, nei confronti di Dorliska, una tenerezza che non può e non sa esprimere pienamente, che non può e non sa comunicare e che, dunque, si tramuta i violenza. L'arroganza proterva nasce dal dubbio da un'insicurezza nascosta e inconfessata che si svela, come in un incubo divenuto realtà nel finale, con un delirio d'onnipotenza tirannica che si ribalta in delirio di persecuzione e vane minacce di vendetta. Alaimo lo realizza con un sapiente gioco di sguardi, accenti, colori d'una voce sempre ben timbrata e a fuoco in tutta la tessitura, trovando un perfetto contraltare nel Giorgio di Carlo Lepore. Questi, infortunato al braccio sinistro ma capace di fare della limitazione forzata un nuovo punto di forza nella caratterizzazione, non manca di esprimere le debolezze del suo personaggio e il coraggio che vien meno di fronte alla violenza del padrone, ma anche, nella dignità del timbro e dell'eloquio musicale, la statura di un uomo che, per redigere e inviare un cahier de doléance, risvegliare le coscienze dei paesani e organizzare la caduta del Duca, dimostra una caratura umana e intellettuale superiore allo stereotipo del servitore buffo.
Convince appieno anche la coppia amorosa: Salome Jicia (già annunciata prossima Semiramide pesarese nel 2019) canta forse la sua prima più convincete al Rof, forte di una coloratura fine quanto fluida, d'una musicalità agilissima e di un timbro personale e riconoscibile in tutta l'ampia tessitura. Ne sortisce ua Dorliska delicata ma anche indomita e risoluta, ben accompagnata da Torvaldo ardente e cavalleresco di Dmitry Korchak, anche lui colto in una delle sue più belle prove pesaresi: lo squillo è luminoso e spavaldo, ma ben equilibrato da sapienti mezzevoci e da un canto a fior di labbro di felice ispirazione, così come da colorature nitide e sempre pertinenti.
Da parte sua Raffaella Lupinacci si mette ben in luce quale Carlotta, tanto che sembrerebbe di farle un torto pensandola comprimaria; Filippo Fontana, Ormondo, affronta con audacia la prova anche acrobatica dell'aria “del pero” (la voce, però, ci pare sempre un po' troppo tenorile per un baritono) e il coro del Teatro della Fortuna di Fano si comporta assai bene sotto la guida di Mirca Rosciani.
Le redini musicali generali sono, invece nelle salde mani di Francesco Lanzillotta, al suo felice debutto pesarese sul podio dell'orchestra sifonica G. Rossini. Innanzitutto dimostra di credere sinceramente nel valore di quest'opera e di non ambire a “nobilitarla” in qualche modo con ricercatezze posticce. Viceversa, suona tutto perfettamente naturale, consequenziale, semplicemente necessario, sempre a fuoco, chiaro e preciso nel dipanare i dettagli musicali nel loro senso e nei loro rapporti teatrali e psicologici. Il risultato è una recita che si gusta con piacere e scorre fresca, limpida, coinvolgente dall'inizio alla fine, anche per merito del solidissimo spettacolo pensato da Mario Martone nel 2006 (costumi Ursula Patzak, scene Sergio Tramonti, luci Cesare Accetta) e che nella ripresa odierna conserva lo spirito e l'atmosfera calzando come un guanto alle diverse personalità dei nuovi protagonisti.
Teatro Rossini pressoché esaurito e meritato successo per questa terza prima del Rof 2017.
foto Amati Bacciardi