Nel labirinto di Mozart
di Francesco Lora
Il Don Giovanni è per la quinta volta al Teatro La Fenice nello spettacolo firmato da Damiano Michieletto. Si ritrova anche la concertazione di Stefano Montanari e una compagnia di canto dominata dagli italiani: in testa a tutti, Carmela Remigio.
VENEZIA, 20 e 21 ottobre 2017 – La bellezza di dodici recite, a sala stracolma e ritmi serrati: due soltanto sono i giorni di riposo lasciati tra il 13 e il 26 ottobre. L’investimento corrisponde al successo annunciato, soprattutto ora che il Don Giovanni del Teatro La Fenice – uno spettacolo da premio Abbiati – vanta il suo quinto ciclo di recite dal 2010. Tre anni fa la regìa di Damiano Michieletto, le scene di Paolo Fantin, i costumi di Carla Teti e le luci di Fabio Barettin avevano già fatto scrivere meraviglie in questa rivista [leggi la recensione]; rimangono tuttora un capolavoro di critica drammaturgica, tecnica scenografica e messa a punto attoriale, con quel malato vagare dei personaggi – eterogenea e ben nota teoria di psicologie, che qui s’impara a discernere ancor meglio – su un palcoscenico girevole che schiude ambienti sempre nuovi, a vacillante lume di candelabro, in un palazzo-labirinto armato dell’ansia di cento porte e dello spiraglio di nessuna finestra.
Già coinvolto nel 2014, anche Stefano Montanari torna per concertare la partitura mozartiana. Sbaglia chi, nel suo lavoro, ravvisi la matrice filologica. L’edizione adottata è quella di tradizione, con una sintesi non sempre logica – anzi talvolta contraddittoria – tra gli assetti musicali dei primi allestimenti a Praga e Vienna. Ma ciò è minuzia affatto ordinaria rispetto al disinvolto taglio del recitativo dopo «Metà di voi qua vadano» (una pretesa registica che per nulla al mondo doveva essere assecondata) o ai recitativi sorretti da un clavicembalo microfonato anziché da fortepiano e violoncello. Sotto altra luce va inquadrato il lavoro di Montanari, che al contrario è evocativo, narrativo, espressivo, teso a cavare dalla sorprendente orchestra veneziana quanto possa generare atmosfera, incorniciare affetti, ispirare interpreti, sbalzare spettatori: fraseggi taglienti, ritmi sferzanti, timbri lividi, a formare una lettura tra le più moderne e disinibite oggi ascoltabili in Italia.
Nelle due compagnie di cantanti, nessuno tiene testa a Carmela Remigio per entusiastica adesione all’idea di regista e direttore: la sua Donna Elvira è immacolata gestione di un tesoro vocale e insieme saggio d’iperrealismo cinematografico. Alle calcagna le stanno il Don Giovanni di Alessandro Luongo, i Leporello di Omar Montanari e Andrea Vincenzo Bonsignore, la Donna Anna di Francesca Dotto (timida, però, se si pensa alla sua Violetta) e l’Elvira ulteriore di Paola Gardina: una squadra che condivide l’immediata riconoscibilità dei mezzi e la sfrontata confidenza con la parola in seno al canto. Non così per l’altro Don Giovanni, il legnoso Adrien Sampetrean, né per l’evanescente Don Ottavio di Patrick Grahl, sopravanzato dal ben altrimenti virile Antonio Poli. Puntuali gli altri: Valentina Mastrangelo come seconda Donna Anna, William Corrò e Davide Giangregorio come Masetto, Giulia Semenzato e Irene Celle come Zerlina, Attila Jun come unico Commendatore.
foto Michele Crosera