L’angelus di Papa Grigory
di Antonino Trotta
Lectio Magistralis di pianoforte: Grigory Sokolov in recital a Torino per l’Unione Musicale.
TORINO, 31 Maggio 2017 – Disciplina del corpo estensione dello strumento e balsamo dell’anima, la musica condivide con le grandi confessioni religiose quel potere divino e trascendente che pacifica la mente ed eleva lo spirito, senza mai chiedere alla ragione di fermarsi e alla coscienza di affidarsi. Ѐ proprio questo profondo senso di misticismo a fare da sostrato alla “liturgia della nota” celebrata da sua Santità Grigory Sokolov all’Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto, dove una numerosissima orda di fedeli accorre per assistere al miracolo della transustanziazione sonora. A consolidare quest’atmosfera quasi sacramentale vi è l’atteggiamento reverenziale di Sokolov, profondamente concentrato, quasi alienato, e impassibile agli entusiasmi del pubblico, che trepidante applaude calorosamente già al solo ingresso in sala dell’artista.
Due sono i pilastri portanti del pianismo di Sokolov: l’assoluto controllo dello strumento e la profondità della lettura musicale. La percezione del tempo che traspare dalle interpretazioni del pianista russo è plastica, malleabile, fatta di dilatazioni e strette sapientemente disseminate all’interno di tutte le arcate musicali. Soluzioni che non costituiscono mai scorciatoie tecniche, né stracciano il tessuto ritmico, ma fungono da lenti di ingrandimento che permettono di rivelare i dettagli più impercettibili delle partiture di Mozart e Beethoven.
Questo senso di elasticità è evidente nella prima parte del recital, dedicato a Mozart, dove Sokolov, quasi esperto vasaio, partendo da un blocchi di argilla apparentemente semplici, modella capolavori ricchi di cesellature. Lampante esempio di questa raffinata artigianalità è la famosissima sonata in do maggiore K. 545, nota come “sonata facile” per la scrittura lineare priva di insidie tecniche. È proprio questo materiale esecutivo così elementare a permettere di apprezzare l’eccezionale talento di Grigory in tutta la sua purezza. Le scale dell’Allegro iniziale sono sempre cristalline, gli accordi conclusivi di ciascuna sezione eterei e vellutati; l’Andante centrale brilla per la precisione degli staccati che non inficiano mai la chiarezza e la fluidità del fraseggio; il Rondò finale, lento rispetto alle esecuzioni di routine, eccezionale per la varietà di accenti e sfumature. Crepuscolare, quasi un ponte tra la luminosità della sonata in do maggiore e le ombre di quella in do minore, è la Fantasia in do minore K. 475. Una composizione di transizione, a tratti protoromantica, in cui Sokolov evidenzia grande drammaticità servendosi di giochi timbrici e volumetrici, rasentando tutte le dinamiche immaginabili: eccezionale in tal senso è la parte finale della fantasia, a partire dal Più Allegro, in cui esasperando le agogiche del brano riesce a dipingere uno scenario di immobilizzante inquietudine. Senza dare spazio ad alcun applauso Sokolov attacca la sonata in do minore K. 457 con uno spirito velatamente mefistofelico. Nella grande padronanza tecnica dell’esecutore i giochi vocali di echi e risonanze – tipicamente mozartiani – trovano terreno fertile in cui crescere rigogliosi. Le voci del primo movimento (Allegro) emergono sempre con grande incisività dialogica, ogni singola nota è evidentemente pensata, segno di un’esecuzione che non si affida in alcun momento alla semplice memoria muscolare. L’ultimo movimento (Molto Allegro) riluce per la maestria con cui l’interprete sottolinea i contrasti sia negli andamenti ritmici che in quelli dinamici. Dopo i maestosi accordi conclusivi il pubblico si lancia entusiasta in una scrociante applauso e in conclusione della prima parte il maestro riceve meritatamente ben cinque chiamate in scena.
Alle sonate di Beethoven è invece riservata la seconda parte del concerto, proseguendo viaggio attraverso i sentieri della prima scuola viennese. La perizia interpretativa è evidente già dall’esposizione della Sonata in mi minore No.27 Op.90, in cui Sokolov accenta con solerzia i contrasti ritmici che caratterizzano quest’opera in tutto il suo primo movimento. Sokolov canalizza perfettamente lo spirito eroico del romanticismo beethoveniano, epico nelle sonorità ma terso nelle linee melodiche. Eccezionali i passaggi improvvisi dal “f” al “pp”, che sortiscono l’effetto di cadute nel vuoto. Languido e sensuale è il secondo movimento della sonata: l’intreccio di voci perfettamente scandite sembra proferire un inno che nella sua argentea luminosità ha tutta l’aria di essere un inno alla vita. Al dolce dissolversi di queste evanescenti armonie segue poderoso l’attacco alle ottava della burrascosa Sonata in do minore No.32 Op.111. L’esecuzione del primo movimento di questa demoniaca sonata – che per le atmosferiche gotiche echeggia la sonata in si minore di Liszt – è narrativa: alle battute di introduzione, scandite fragorosamente come fossero un grido agonizzante, segue un interminabile trillo in accelerando e crescendo che conduce all’esposizione del tema, elementare nella forma ma di grande potenza espressiva. Nelle sezioni successive, dove la sonata assume la forma di una fuga, Sokolov affila con grande maestria le angolosità della partitura confezionando un’interpretazione che rapisce l’ascoltatore per tutta l’arcata parabolica del movimento. Ma è nell’Arietta (secondo movimento) che il maestro russo esalta la qualità del suo pianismo, in cui il virtuosismo è tragitto e non meta. La placida, serafica atmosfera intavolata nell’esposizione del tema, con un lungo crescono di morbidissimi accordi, lentamente si infrange contro le brillanti variazioni. Particolarmente bella la terza: il senso dell’equilibrio e l’eleganza nei frenetici arpeggi che attraversano l’intera tastiera, ricchi di note sincopate e controtempi, profonde al movimento il magnetismo della musica jazz senza sfumare l’allure di quella romantica. Straordinari i trilli - per velocità, pulizia, varietà di dinamiche – nella parte finale della sonata, dove il pianoforte si trasforma in un enorme carillon.
Al termine della sonata il pubblico tributa al pianista russo un esplosivo applauso liberatorio dalla durata di diversi minuti. Sokolov sembra svestire finalmente gli abiti talari dinnanzi alla platea che gli riserva una vera e propria ovazione, generosamente ripagata con ben sei bis: il Momento Musicale No.1 Op.94 di Schubert, i due Notturni Op. 32 di Chopin, “L'Indiscrète” tratto da “Pièces de clavecin” di Rameau, l’Arabeske Op.18 di Schumann e per finire il decimo preludio dal secondo libro di preludi di Debussy (Canope).
Davanti a un pianismo così raffinato non si può rimanere indifferenti: puoi amare Sokolov per le emozioni che il suo tocco suscita o puoi non condividere le sue scelte, ma continuando ad ammirare il modo con cui tali scelte sono modellate. Un concerto straordinario che rimarrà nella memoria del pubblico torinese.