Un buon mestiere, un'arte sublime
di Irina Sorokina
Felice ripresa dell'allestimento di Mario Martone, ancora fresco ed efficace dopo dodici anni dal debutto. Convince anche la resa musicale, dal Conte di Christian Senn ai personaggi cosiddetti "minori".
Verona, 31 marzo 2018 - Dodici anni e non lo li dimostra. Questa frase sarebbe assurda se riferita a un essere umano, ma, se si tratta di uno spettacolo teatrale, è un grande, grandissimo elogio. E soltanto un elogio meritano Le nozze di Figaro al Teatro Filarmonico di Verona, il cui allestimento proviene dal San Carlo si Napoli dove debuttò ben dodici anni fa.
La messa in scena è di Mario Martone e un ringraziamento speciale va a coloro i quali la “tengono in vita” asciutta, brillante, spiritosa e senza tempo.
Si assiste a uno spettacolo tradizionale, se si vuole, nel senso positivo della parola. Martone non adopera spostamenti nel tempo e, soprattutto, non addossa all’opera mozartiana idee che non le appartengono. Siamo nel maturo Settecento, il secolo del sano erotismo, a cui la morale non interessa molto. Siamo nel castello del Conte di Almaviva, un ricco signore, parecchio annoiato dal matrimonio, in cerca delle storielle con le servette. I personaggi sono quelli mozartiani, e il genio austriaco, si sa, possedette un’altissima capacità di penetrare nell’animo umano. Gli eroi delle sue opere appaiono vivi e vegeti e vicini a noi, nonostante portino giustacorte, coulotte e parrucche incipriate.
Le scene minimaliste sono di Sergio Tramonti. Il castello è appena accennato tramite due scalinate e un tavolo apparecchiato. Per il resto potrebbe andare bene una citazione di Pushkin: “L’immaginazione in un attimo disegnerà il resto” (viene dalla “piccola tragedia” Il convitato di pietra, e appartiene a Leporello che si riferisce a Donna Anna). È vero, l’immaginazione dello spettatore crea il resto: gli ambienti vari del castello e la finestra da cui salta giù il monello Cherubino. Il ruolo della finestra è affidato alla buca d’orchestra! Un’idea vecchia come il mondo, è creare lo spazio aggiuntivo usando i bracci attorno alla buca; avvicinano i cantanti al pubblico e gli danno la possibilità di godersi al massimo le interpretazioni di alcuni pezzi famosi.
Le scenografie non vantano i colori brillanti, come i costumi di Ursula Patzak, che seguono la via di tinte naturali e pastello. Una bellissima idea, far portare al Conte e la Contessa abiti scintillanti, verde acquamarina lei, rosso bordeaux lui. Leggermente luccicanti, creano un grande effetto visivo.
La regia di Martone sembra inesistente. Come se il maestro napoletano avesse raccolto attorno a sé una compagnia di canto e avesse detto: "ok, ragazzi, avete letto il libretto, conoscete le vostre parti, adesso cercate di comunicare con i/le vostri/e partner. Il coro è già preparato dal maestro. E poi vediamo, visto che la storia col tempo non ha perso la sua vitalità, forse, non ci sarà bisogno di me." Ovviamente, è uno scherzo: di Mario Martone c'è un grande bisogno. Apparentemente invisibile, riesce a mettere in scena le relazioni complesse dei personaggi con naturalezza, vivacità e umorismo. Ci si diverte proprio tanto, osservando il formicaio umano ubicato nel castello del Conte di Almaviva che corre, chiacchiera, inventa, inganna, cospira, corteggia, bacia e salta dalla finestra.
Nel cast davvero superlativo padroneggia Christian Senn. La sua interpretazione del ruolo del Conte Almaviva è grandiosa, e con un conte così lo spettacolo potrebbe chiamarsi non Le nozze di Figaro, ma L'inganno del signore. Il baritono cileno, nella piena maturità artistica, disegna un personaggio ricco di sfumature, da una spiccata personalità, sotto molti aspetti un vero signore e sotto alcuni un'anima da poco. Un bell'uomo dal portamento nobile, cade nei comportamenti meschini, ma è capace di slanci di generosità, di accettare la sconfitta. Il physique du rôle, la disinvolutra nel vestire gli abiti storici, le fantastiche capacità attoriali rendono Senn Il Conte. Splende anche la sua voce, piena, calda, omogenea, perfettamente proiettata; il suo fraseggio e l’accento sono perfetti. L’aria "Vedrò mentr'io sospiro" cantata a pochi metri dal pubblico suscita in sala qualcosa simile a un delirio.
Al Conte di Christian Senn fa da spalla un bravissimo Gabriele Sagona nel ruolo del titolo, molto credibile nella parte del servo che supera di gran lunga il padrone per quanto riguarda la dignità, l’intelligenza e la prontezza dei riflessi. Il fisico giova al personaggio: il Figaro di Sagona non è certo un Adone, ma è molto piacente grazie alla figura snella, al volto interessante, a una mimica vivace. Ecco la parola: vivace, vivacissimo! Non sta mai fermo, combina, organizza, inventa. E così il suo canto, chiaro, variegato, pieno di sfumature sottilissime.
Nella partita gentile tra la signora e la serva la vittoria vocale e scenica va, senza dubbio, a Ekaterina Bakanova, che non sembra recitare la parte di Susanna, ma essere Susanna stessa. Carina, intelligente, disinvolta, dotata dalla prontezza di reazione e un’attrice non da poco, la Susanna della Bakanova incarna la femminilità nella sua espressione più alta. La voce non è grandissima, ma ben proiettata, piena di colori e l’accento è perfetto.
La Contessa di Francesca Sassu è un punto debole della ripresa veronese. Forse, il personaggio di Rosina, una volta amata dal brillante conte Almaviva e ora ingiustamente da lui trascurata, non la ispira abbastanza, perché risulta fiacco e sbiadito, completamente privo di linfa vitale. E anche il suo canto è simile: la voce risulta opaca, senza colore, gli attacchi sono spesso imprecisi.
Le altre due donnine si difendono non bene, ma benissimo. La Marcellina di Francesca Paola Geretto non è vecchia e noiosa, anzi, è piuttosto vivace ed energica e non priva d’avvenenza. Il vestito e la parrucca le stanno a pennello. Di un ruolo apparentemente piccolo la Geretto riesce farne uno grande. L’aria di Marcellina, tradizionalmente tagliata, è cantata con una grande sapienza e risulta vocalmente assai gradevole. E cosa dire ancora di questa aspirante sposa/madre di Figaro? Che non disdegna un buon bicchiere e alla fine dell’aria crolla e viene raccolta da Bartolo.
La giovane Lara Lagni è una perfetta Barbarina, dolce e simpatica, e in possesso della voce cristallina.
Il mezzosoprano giapponese Aya Wakizono, già conosciuta dal pubblico veronese, disegna un Cherubino vivace e a tratti esilarante, visto che non ha paura eseguire due salti vertiginosi nella buca d’orchestra. Il vestito da maschietto non riesce nascondere la sua natura femminile, ma la Wakizono si cala davvero nei panni del giovane paggio, quasi impazzito causa gli ormoni. Riesce a trasmettere l’agitazione incontenibile, il dolce furore, la confusione totale, la voglia di corteggiare le femmine che incontra, tutte le cose delle quali è “malato” Cherubino. La voce morbida, ben timbrata ed omogenea accarezza l’orecchio nelle due famose arie.
È un’offesa chiamare “comprimari” gli interpreti dei ruoli di Bartolo, Basilio, Don Curzio e Antonio. Sono tutti e quattro incredibilmente veri e fanno divertire a più non posso. Il Bartolo del grande Bruno Praticò è una vecchia volpe, ma alla fine dall’animo buono; il Basilio di Bruno Lazzaretti è un ometto fiacco che ha lasciato le proprie birichinate nel passato; il Don Curzio di Paolo Antognetti è un giudice balbettante dalla testa che sembra potergli cadere dalle spalle da un momento all'altro; l'Antonio di Dario Giorgelè è un mezzo matto che continua a dare noie con quella storia dei fiori danneggiati da qualcuno saltato dalla finestra. Evviva “i comprimari”! Evviva i buoni mestieranti del teatro il cui mestiere si trasforma in un’arte sublime.
Sul podio, Sesto Quatrini conduce l’orchestra della Fondazione Arena di Verona con mano esperta ispirata dall’amore incondizionato per la musica mozartiana. L’ouverture viene eseguita con una velocità elevata, ciò non influenza la perfetta dinamica e i colori brillanti. Il direttore segue i cantanti con una grandissima attenzione mettendo in risalto i loro punti di forza, il suono dell’orchestra risulta preciso ed asciutto. Di grande efficacia sono i pezzi concertati. La bravura del coro preparato da Vito Lombardi è fuori discussione.
Il pubblico risulta molto coinvolto e sinceramente divertito. I grandi applausi a tutti, pienamente meritati. Sono previste repliche il 2, 4, 6 e 8 aprile.