Il sacrificio sublimato
di Andrea R. G. Pedrotti
Lirica in piazza vince la sfida della messa in scena di Carmen grazie soprattutto alla bella concertazione di Sergio La Stella e a un cast ben assortito.
MASSA MARITTIMA, 4 agosto 2018 - Carmen, non ci stancheremo mai di dirlo, è una delle opere più complesse d portare in scena, perché, oltre alle difficoltà tecniche visibili a chiunque sia in grado di leggere una partitura, non si tratta di una composizione che possa affidarsi esclusivamente a un esercizio di calligrafia, lo studio non basta, serve intelligenza interpretativa per decifrare le complesse ramificazioni di significato insite in ogni nota.
Pochi altri lavori sono intrisi di gusto francese al pari di Carmen. Non importa che la scena si ambienti a Siviglia, perché nel libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy ritroviamo l’erotismo ostentato (che in quanto tale non è trasgressione in Francia, al contrario di altre realtà) e il concetto del desiderio e della pulsione in chiave sacrificale. Il concetto del sacrificio è sublimato in Carmen da tre donne: Carmen, Micaëla e la madre di Don José. La genitrice è elemento perturbante di quest’Opéra-comique, guida giudicante e razionale, impositiva nella serena routine che ingiunge amorevole al figlio, affidandolo alle cure dell’emblema del coraggio e della dignità, stereotipo della potenza femminile, Micaëla: la donna perfetta, alter-ego della madre, sostituzione di essa nella debolezza caratteriale dello stolido Don José che piangerà la madre, dopo che proprio Micaëla aveva affrontato, sola, gli impervi monti iberici e bande di delinquenti, solo per recargli la mesta ambasciata della dipartita della donna. Micaëla che, unica, riconosce in Don José l’evoluzione della perdita di senno, proprio nel momento in cui egli aveva scoperto d’aver perso sia la genitrice, nonché colei che aveva dimostrato sincero amore nei suoi confronti. Abbiamo avuto, dunque, il sacrificio della madre, il sacrificio dell’amante (termine da leggersi in senso ottocentesco), la prima per il naturale avvicendarsi delle generazioni, la seconda per cuore. Carmen, personaggio invero maschile nella sua carnalità, non compie nel suo animo intimamente mascolino un sacrificio, ma lo provoca. Non è una donna ribelle, come s’usa dipingerla fin troppo spesso, è una donna dalle fascinose fattezze, ma dall’anima di uno scaricatore di porto. Questo attira e genera dipendenza in Don José, fino a portare il suo anodino carattere all’efferato omicidio dell’amante (questa volta si legga il termine in senso contemporaneo).
Carmen è un’opera di grandi masse, ma anche di straordinari momenti intimi che ritroviamo nel terzo atto e, a intermittenza, nel resto dell’Opéra-comique. L’orchestra deve saper respirare, regalare sfumature, una linea uniforme (all’interno di una drammaturgia apparentemente difforme) e utilizzare le pause come non fossero banali silenzi, ma parte integrante del periodo musicale e della forma espressiva melodica.
Primo artefice del bel successo musicale della Carmen andata in scena a Massa Marittima è stato, infatti, il maestro concertatore Sergio La Stella che coglie (e con solo poche ore di prove) l’essenza stessa della partitura, guidando l’organico dell’Orchestra Sinfonica Europa Musica ben oltre le più rosee aspettative, anche considerato che non ci troviamo in una sala canonica e la preparazione è stata compressa all’eccesso.
Sergio La Stella conduce con precisione, personalità e interpretazione invidiabile sin dall’Ouverture, facendosi apprezzare in una commovente lettura del duetto fra Micaëla e Don José “Parle-moi de ma mère!”, emblematico del nostro discorso introduttivo. Assai bene anche il finale II. Ottimo tutto il difficilissimo III atto e meraviglioso l’Entr’Acte.
Nel cast vocale si distinguono le voci maschili con l’ottimo Escamillo di Carmelo Corrado Caruso (favorito nella recitazione da un costume assai più pratico rispetto a quello indossato come Conte di Luna la sera prima) e l’eccellente Don José di Max Jota, artista che non avevamo occasione di ascoltare in teatro da circa tre anni e che ha palesato notevoli miglioramenti, nella pulizia d’emissione, squillo e fraseggio.
Bene anche la Micaëla di Patrizia Cigna che si presta, da soprano leggero, a un ruolo dalla scrittura caratterizzata dall’ampiezza delle frasi tipica di un soprano lirico. La Cigna centra molto bene il personaggio, anche grazie alla direzione di La Stella, interpretando una figura tanto struggente quanto ammirevole.
La protagonista, Stefania Scolastici, esegue con correttezza e senza sbavature la parte. Partecipe alla recitazione, porta a compimento una prova uniforme.
Completavano il cast Lorena Grazia Scarselli (Frasquita), Monica Cucca (Mercédès), Guido Bernoni (Remendado), Costantino D’Aniello (Dancaïre), Carlo Di Cristoforo (Zuniga), Andrea Scorsolini (Moralès).
Bene il coro, caratterizzato da un suono più corposo rispetto alla sera precedente. Forse un po’ corto in alto nella componente femminile (quarto atto in particolare), ma non si può pretendere tutto da una realtà come quella di Massa Marittima.
La regia Gianmaria Romagnoli ricalca sostanzialmente la celebre produzione zeffirellina, opportunamente ridotta e con l’idea conclusiva di far inginocchiare Carmen in attesa di essere sgozzata da Don José. Considerate le possibilità tecniche, sarebbe stato, però, più utile un accoltellamento canonico: vedere una persona cadere con la gola tagliata, ma priva di ferite e rivoli di sangue sviliva l’idea, indipendentemente dalla bontà della stessa. Un altro inserimento originale, rispetto a Zeffirelli, è quello di principiare il quarto atto con la vestizione del Torero Escamillo.
Da segnalare la presenza di un seppur ridotto corpo di ballo (sei prime danzatrici), purtroppo non citate in locandina. Un bel segnale, non solo perché utile alla drammaturgia di un’opera francese, ma per far comprendere la necessità di un corpo di ballo, sempre più colpevolmente raro nelle Fondazioni Liriche italiane.
Per l’aspetto visivo (scene e costumi) si trattava della produzione di Europa Musica.
foto Bruno di Marcello Pepe