Quante buffonerie
di Emanuele Dominioni
Un eccellente parterre di voci, coadiuvato dall'ottima bacchetta di Diego Fasolis, si fa apprezzare nella ripresa scaligera dello spettacolo già visto a Glyndebourne con la regia di Frederic Wake-Walder.
MILANO, 23 ottobre 2018 - È un Mozart appena diciannovenne colui dalla cui penna scaturisce uno dei suoi primi lavori comici: La finta giardiniera, dramma giocoso su libretto a lungo creduto opera di Ranieri de' Calzabigi, ma oggi universalmente attribuito a Giuseppe Petrosellini. Sebbene alle prime armi per quanto concerne il teatro musicale buffo, sperimentato solo pochi anni prima con La finta semplice, in questa occasione il Salisburghese sembra già cogliere e sottolineare appieno le dinamiche amorose fra i vari personaggi attraverso un linguaggio musicale che si fa sempre cangiante e voluttuoso nei toni espressivi.
Ben chiara nel giovane compositore era innanzitutto la quadratura dei ruoli in relazione al teatro goldoniano, che portava seco alcuni topoi precisi del genere: travestimenti, cambi d'identità, equivoci, finzioni sceniche e personaggi di classi sociali differenti, su cui Mozart cerca di imbastire un discorso musicale serrato nonostante un libretto abbastanza desueto e generalmente povero di pezzi d'insieme. In questo senso un'altra caratteristica che ritroveremo nei capolavori più noti è il giungere senza soluzione di continuità ai finali d'atto (in questo caso primo e secondo) attraverso una linea musicale che, forte dei contrasti fra i vari personaggi, sperimenta e accosta soluzioni ritmiche e tonali diverse. Lo stesso si verifica anche all'interno delle arie, laddove vengono rappresentati più stati d'animo che accendono le pulsioni amorose dei protagonisti. Tipica del teatro mozartiano è l'alternanza fra il registro comico e quello, fino a quel momento maggiormente rodato, serio, che si esprime attraverso la coppia di personaggi più altolocati e nobili (Arminda e Don Ramiro) e in cui la creatività del genio musicale ci regala nelle arie momenti di fiero impatto espressivo.
Nel mettere in scena una tale varietà d'intenti, Frederic Wake-Walker, con questo suo primo lavoro mozartiano (l'allestimento, infatti, risale al 2014 e precede Le nozze di Figaro già viste al Piermarini), concentra la sua attenzione proprio sui caratteri, trovando la linfa vitale della sua regia nella relazione fra i personaggi. Walker ci presenta un percorso emotivo e psicologico che porta al progressivo disgregamento dello status sociale e delle relative dinamiche caricaturali dietro cui i personaggi si celano, abbandonandosi man mano alla naturalità della pulsione amorosa. In questo lento processo il tema della follia/finzione, oltre a permeare l'intera azione, si materializza anche con la distruzione del palazzo entro cui si svolge l'azione, adopera soprattutto di Sandrina e Belfiore che, rinunciando alle relative false identità e storie, ritrovano se stessi e la loro relazione. La scena di impianto tradizionale, e in ultima analisi agganciata alle istanze librettistiche, si riassume in una stanza del palazzo del podestà costruita attraverso teli e finestre che progressivamente vengono squarciati e smontati fino a lasciarci scorgere, verso il finale, un panorama aperto e boschivo.
In relazione al grande lavoro operato sui e dai protagonisti è doveroso muovere un plauso alla perfetta macchina scenica mossa attraverso una recitazione brillante e mai stancamente uguale a se stessa.
Nel ruolo del titolo, Hanna-Elisabeth Muller è una marchesa Violante dagli accenti languidi, dotata di una vocalità tipicamente mozartiana che ben si accosta al Belfiore di Bernanrd Richter, il quale rende, invece, la giovanile frenesia del personaggio con una salda voce tenorile. Dopo la positiva prova come Emma nel Fierrabras, Anett Fritsch torna alla Scala calandosi con caricaturale alterigia nei panni di Arminda. Kresimir Spicer è un tenore dal timbro ambrato e di indiscusse doti attoriali, impareggiabile comico nell'aria di sortita e negli scambi con Serpetta.
Da segnalare la positiva prova della componente italiana del cast; del cavalier Ramiro di Lucia Cirillo, bravissima soprattutto a fronte dell'impervia aria del secondo atto; di Giulia Semenzato, Serpetta pungente e ben a fuoco; e soprattutto di Mattia Olivieri, ottimo nella recitazione e smagliante per resa vocale: un vero mattatore.
Fasolis torna a Mozart accostando la consueta perizia esecutiva a un fraseggio in perfetta sintonia col palcoscenico e di grande forza teatrale. L'Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti originali lo segue in un discorso musicale che si fa portatore di un'estetica di stampo tardo barocco e che sembra far presa su un pubblico che, inusitatamente per questo repertorio, riempie il teatro e meritatamente tributa grandi applausi a tutti.
foto Brescia Amisano