Il colosso di Irkutsk
di Antonino Trotta
Un’altra stella del firmamento pianistico brilla nel cielo dell’Unione Musicale: Denis Matsuev in concerto a Torino con pagine di Beethoven e Čajkovskij.
Torino, 11 Febbraio 2018 – Più imponente della sua importante presenza scenica c’è solo la fama che lo precede: Artista del Popolo e professore onorario dell’Università statale di Mosca, capo del Consiglio Popolare del Ministero della Cultura della Federazione Russa, nominato “Goodwill Ambdassador” nel 2014 dall’UNESCO, premiato nel 2016 con l’Ordine d’Onore dello Stato, ora Ambasciatore FIFA per i mondiali di quest’anno. Nel palmarès di Denis Matsuev, pianista russo tra i più acclamanti del panorama internazionale, compaiono numerosi riconoscimenti che suggellano una carriera di grande prestigio che nel successo mediatico e popolare annovera pochi eguali. Perfettamente in linea con la grande tradizione della scuola russa per tecnica pianistica e stile interpretativo, Matsuev arriva al Conservatorio “G. Verdi” di Torino con un concerto che rotea intorno alle pagine di Beethoven e Čajkovskij.
Il pianismo di Matsuev disarma per la naturalezza nell’erigere enormi pareti di suono, con volumi prorompenti, senza compromettere la rapidità del tocco che si conserva preciso, (quasi) infallibile, a volte spavaldo. In queste abbondanti sonorità si disperde la raffinata purezza timbrica e l’elegante semplicità di scrittura delle sonate di Beethoven, che sembra stare stretto al pianista dal temperamento così infuocato. Già nella prime battute della sonata no.17 in re minore “La Tempesta” si percepisce una violenta frenesia che si traduce nello scorrere incalzante e approssimato dei drammatici cromatismi e che successivamente si estende all’esposizione del tema principale. Il fraseggio soffocato trova un attimo di respiro nel secondo movimento dove il procedere mesto offre l’occasione allo strumento di cantare maggiormente, anche se i secchi tremoli di biscrome alla sinistra stemperano la serena atmosfera delle lande beethoveniane. Irruento il terzo movimento che si apre con un opinabile accelerando. La tavolozza dei colori è sempre variegata ma il contrasto dinamico tra esposizione del tema e ripresa appare smorzato dall’eccessivo mordente con cui il pianista affronta l’eterna composizione. Lo stesso dicasi per la sonata no.31 op. 110, la penultima sonata del genio di Bonn. Manca in generale equilibrata espressività e la sublime fuga finale si risolve in una meccanica corsa verso il traguardo, non senza imprecisioni che hanno in definitiva compromesso una delle pagini più estatiche della musica beethoveniana. Finalmente nella Meditation dall’op.72 e nella Grande Sonate in sol maggiore op.37 di Čajkovskij Matsuev trova terreno fertile in cui seminare i germogli del suo pianismo virilmente appassionato. La densità della scrittura, la ridondanza di note e i passaggi di grande aplomb virtuosistico offrono l’occasione per sfoderare tutti i cavalli di potenza lasciando letteralmente senza fiato la platea per questo torrenziale flusso di suono che rompe gli argini e invade l’intera sala dell’auditorium.
Il calore del pubblico alla fine del concerto viene generosamente ripagato dal pianista che esegue ben quattro bis: il preludio no.1 op.11 di Scriabin, lo studio op.76 no.2 di Sibelius,” In the Hall of the Mountain King” dal Peer Gynt di Grieg e per finire un’irresistibile improvvisazione jazz.