Lenny e le sue sinfonie (II)
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia chiude il ciclo delle sinfonie di Leonard Bernstein con la Sinfonia n. 3 “Kaddish” e con il Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 77 di Johannes Brahms. A dirigere la serata musicale è Antonio Pappano; per Brahms interpreta la parte solistica Kyung Wha Chung, che torna all’Accademia dopo il fatidico incidente che l’ha tenuta lontana dalle scene per diversi anni.
ROMA, 24 febbraio 2018 – Il secondo appuntamento con il ciclo sinfonico di Leonard Bernstein, dedicato al centenario dalla nascita del compositore, si chiude con la Terza sinfonia, “Kaddish” e l’esecuzione del Concerto per violino di Brahms, che apre il concerto (leggi la recensione del primo appuntamento). Per Brahms la parte del violino è sostenuta da Kyung Wha Chung, che torna a calcare il palco dell’Accademia dopo più di diciassette anni. È noto l’incidente che l’ha tenuta per anni lontana dalle scene; da un po’, però, è ritornata a incidere musica e a calcare i palchi di tutto il mondo col suo violinismo improntato ad ascetica precisione.
Proprio tra i pezzi che l’hanno riporta in auge v’è proprio questo concerto di Brahms. L’assenza dalle scene e una certa qual mancanza di sintonia le rendono difficile l’entrare in sinergia nel I movimento con il direttore e l’orchestra: le difficoltà tecniche della parte solistica (doppie corde, salti funambolici, cambi di posizione ecc.) contribuiscono a creare una disarmonia fra la solista, da una parte, e il direttore e l’orchestra, dall’altra, solista che si assesta su un violinismo a fil di corda – che causa anche qualche dissonanza di troppo – a mio avvio poco consono con lo spirito dell’Allegro non troppo brahmsiano. Dal canto suo, Pappano concerta come meglio non si potrebbe e l’orchestra sorregge la parte splendidamente. Nella liricità dell’Adagio (II), la Chung incontra decisamente meglio la lettera del testo brahmsiano: Pappano crea le giuste atmosfere e la solista si adagia con un violinismo intimistico, da cui riesce a cavare bei colori, filati e un trillo ragguardevole in fine di pezzo. Anche nel III (Allegro giocoso, ma non troppo vivace) la Chung si assesta decisamente bene con l’orchestra: il virtuosismo tzigano della parte spumeggia con buon effetto, il suono è netto e pulito. Gli applausi giungono e la Chung saluta calorosamente.
La seconda parte del concerto è dedicata a Leonard Bernstein e alla sua “Kaddish”. L’esecuzione è semplicemente straordinaria. Josephine Barstow, nella parte della voce narrante, raccoglie tutti gli accenti di un testo, quello del Qaddish, che è una preghiera funebre di un figlio primogenito al padre morto, testo che Bernstein ha modificato e da cui ha tratto una sorta di monologo dell’uomo con Dio o, meglio, una sorta di dialogo con un Dio muto. Il significato, come si comprende facilmente, è di incredibile profondità: è quasi un monologo di un essere umano prototipico col suo Dio creatore. Pappano fa pulsare l’orchestra sulle parole della narratrice, fino a che non prorompe il coro nel Kaddish I: precisione, pulizia, tensione atmosferica sono le caratteristiche squisitamente palesate dall’eccellente coro dell’Accademia, che riesce a domare l’intrinseca pulsazione ritmica centripeta della musica di Bernstein. Il secondo movimento vede Pappano dirigere magnificamente e incanalare quella tensione sotterranea che la Barstow fa emergere con le domande insistentemente poste dall’uomo a Dio; poi gli archi si agitano magmaticamente, le percussioni sanno di un primitivismo strano, gli Amen del coro invadono la sala e la richiesta di perdono del narratore si fa perorazione. Giunge il Kaddish II, screziato di un vago orientalismo: stupenda l’esecuzione di Nadine Serra, la cui voce celestiale, gentilmente vibrata e piena, intona la versione ebraica del “Padre Nostro”, sorretta dal coro di voci bianche, che dimostra la sua bravura ancora una volta. Questo momento idilliaco apre la scena al trasognato Scherzo, interamente affidato alla Barstow, intriso dell’ambiguità ritmico-melodica cara a tanta musica novecentesca e la cui retorica è funzionale all’immagine dell’uomo che si pone persino al pari di Dio, per cercare una sua dimensione (è Dio stesso che deve ‘credere’ nell’uomo). Pappano è straordinario nel traghettare l’orchestra verso la potente attestazione di fede finale, che si concretizza in una fuga di tutte le voci (Kaddish III). Gli applausi fragorosi chiudono il bellissimo ancorché breve festival.
foto Musacchio e Ianniello