Orbite orchestrali
di Antonino Trotta
Per il Progetto Mahler al Teatro Regio di Torino Jérémie Rhorer, ospite per la prima volta dell’ente lirico piemontese, dirige la quinta sinfonia del celebre compositore austroungarico. Il caloroso applauso del pubblico suggella il successo della serata.
Torino, 30 Marzo 2018 – Punto di svolta dell’intero percorso compositivo di Gustav Mahler, la Quinta Sinfonia segna il distaccamento formale dalla dimensione liederistica e dall’utilizzo della voce umana – presente ad esempio nelle quattro precedenti – per l’inseguimento di un itinerario musicale puramente orchestrale che condurrà alla celebre Nona, da molti ritenuta l’ultimo grande esempio di sinfonismo, che in parte tratteggia la linea temporale del pensiero musicale europeo. La lettura di queste complesse pagine, molto frequenti sui palcoscenici del capoluogo piemontese (due esecuzioni nel 2016 e una nel 2017 spalmate tra le diverse società concertistiche che operano sul territorio), è affidata al giovane direttore Jérémie Rhorer, in arrivo per la prima volta al Teatro Regio di Torino dopo il debutto italiano in Dialogues des Carmélites di Poulenc al Teatro Comunale di Bologna [leggi la recensione].
Impostosi all’attenzione del pubblico e della critica internazionale come uno dei direttori più sofisticati della sua generazione, Jérémie Rhorer ha fatto del repertorio barocco il proprio territorio d’elezione arrivando a fondare un’orchestra (Le Cercle de l’Harmonie) – specializzata in questo settore – che lo affianca anche in lussuose produzioni discografiche. Siffatta connotazione repertoriale rappresenta nella sostanza la peculiare cifra stilistica nel maestro francese e si riflette nell’interpretazione del capolavoro mahleriano. La concertazione di Rhorer descrive in maniera quasi analitica un’orbita ellittica a eccentricità variabile che individua i propri fuochi nella plasticità ritmica e nella policromia dinamica. All’inizio di ogni movimento l’asse focale è sempre diverso da zero: laddove si valorizza un colorismo più sfumato si penalizza l’elasticità agogica e viceversa. I punti focali della direzione tuttavia sembrano convergere, alla fine di ogni sezione, fino a sovrapporsi in un unico centro, quando la traiettoria direttoriale si fa circolare e si arricchisce su ambedue i versanti.
Bacchetta generosa per volumi e tempi, Rhorer imprime immediatamente al primo movimento (Marcia funebre: A passo misurato. Severo. Come un corteo funebre) un mesto passo cadenzato, scandito in lontananza dalla tromba in si bemolle, e conferisce alla marcia funebre un’aria beffarda accentuandone le mefistofeliche terzine dei violoncelli. Aderente alla indicazioni della partitura, Rhorer si dimostra attento alla scansione puntale del ritmo e indugia maggiormente sul rilassamento dei vincoli dinamici, qui un po’ monocordi, attingendo già dal primo accordo a tutta la potenza orchestrale. Spezza la lugubre atmosfera la violenta gragnola di cromatismi della sezione centrale, staccata in maniera netta dal maestro concertatore, dove gli accordi sincopati dei corni intavolano un teso dialogo con il tormentato unisono dei violini. È ancora la precisione del gesto a dominare nella ripresa della marcia funebre e a piallare via la raffinatezza di alcuni interventi degli ottoni. Solo nell’esposizione e nello sviluppo del secondo tema la componente ritmica e quella volumetrica si mescolano in maniera più omogenea in un amalgama orchestrale che si fonde lentamente nella coda fino a dissolversi con un fragoroso pizzicato.
Una parossistica vitalità espressa dal furente ostinato di apertura degli archi, di cui Rhorer esaspera la tesa drammaticità indirizzando i violini verso un sinistro legato e optando un tempo estremamente veloce, anima il secondo movimento (Tempestoso. Con la massima veemenza). Se la solerzia penalizza all’inizio la gamma di colori, abbastanza ingabbiati in fasce ben definite, dopo il febbrile recitativo dei violoncelli sopra il lungo rullare del timpano – con un lungo crescendo che tende anche la trama temporale – il direttore acuisce la sensazione di disperazione che prorompe ora dall’orchestra e che poi si stempera nell’esposizione del secondo tema, dove finalmente i fuochi della direzione tornano a sovrapporsi. Si esplode infine nel corale degli ottoni, il fallace inno di vittoria di questa sinfonia, arricchita dal marziale moto ascendente e discendente di contrabbassi e violoncelli. Tutto poi sfuma, gli strumenti sembrano più in lontananza, il procedere rallenta, il legato cede il posto a un morbido staccato, un’efficace pausa prepara il malefico rintocco dei timpani che segna la fine del movimento.
Grande plasticità nel brioso scherzo (Vivace, non troppo veloce), dove l’orchestra del Teatro Regio acquista grande leggiadria nel danzante scambio di battute tra il corno e le varie risposte di archi e ottoni. I colori sono luminosi, nitidi, le voci dei solisti si intrecciano con eleganza quasi viennese. In alcuni punti il direttore francese cede alle lusinghe della partitura e si abbandona a vezzosi romanticismi trattenendo i violini sulla chiusura delle brevi frasi del valzer. Sebbene la sezione dei pizzicati non brilli per precisione, Rhorer ricrea l’atmosfera di antichi madrigalismi che accompagnano il tema languido e trasognante. In ogni punto il direttore provvede a un ottimo equilibrio tra le varie parti, specialmente verso il finale, quando anche il tam-tam fa incursione nell’organico.
Non ci sono leziosità, per fortuna, nel celeberrimo Adagietto (Molto lento). L’atmosfera che si ricrea è lunare, il seducente canto dei violini squarcia i delicati arpeggi e Rhorer racconta queste meravigliose pagine in un unico grande respiro, senza spezzare alcuna frase, puntando su una direzione liquida ma rigorosa che valorizza la rarefatta purezza della linea melodica. Non si avvertono stucchevoli sbavature ritmiche e nella ripresa del tema, quando la direzione improvvisamente rallenta, l’intensità dell’esecuzione aumenta proporzionalmente per poi dissolversi come luce al tramonto.
Il Rondò conclusivo (Allegro) è un eccellente banco di prova per il direttore che ha modo di attingere ampiamente all’esperienza barocca per sviscerare il ricco materiale contrappuntistico che forgia lo scheletro dell’intero movimento. Nel festoso dialogo, dove ancora a predominare è una predilezione per i tempi concitati, Rhorer regola perfettamente gli assertivi interventi dei vari strumenti e accompagna lentamente l’intera orchestra verso l’esplosivo e serratissimo finale.
Applausi scroscianti per il direttore francese. Nell’universo di Mahler, è la musica che move il sole e l’altre stelle.