L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

I Berliner restano

 di Luigi Raso

Fa tappa a Madrid il tour d'addio di Sir Simon Rattle alla direzione dei Berliner Philarmoniker. Ed è subito trionfo per un programma che prevede una novità di Widmann, Lutosławski e Bruckner, in attesa dell'insediamento di Kirill Petrenko.

MADRID, 7 giugno 2018 - Tanz auf dem Vulkan di Jörg Widmann, il Lutosławski della Sinfonia n. 3 e, infine, il classico della Sinfonia n. 1 in do minore op. 68 di Johannes Brahms costituiscono uno dei due programmi (l’altro: Three Pieces for Orchestra di Hans Abrahamsen e la sinfonia n. 9 di Anton Bruckner) per il tour europeo d’addio di Sir Simon Rattle dopo sedici anni alla guida dei mitici Berliner Philharmoniker, un tour che ha toccato in pochi giorni Vienna, Amsterdam, Colonia, Madrid e Barcellona.

L’Auditorio Nacional de Música di Madrid ha accolto con un vero trionfo il concerto il cui programma appare una sintesi delle scelte, spesso giudicate ardite, di repertorio degli anni berlinesi del direttore britannico.

Il concerto si apre con Tanz auf dem Vulkan, opera commissionata dalla Fondazione dei Berliner al compositore e clarinettista tedesco Jörg Widmann (classe 1973) e scritta proprio per l’addio di Rattle alla Filarmonica di Berlino. Composizione breve, esplosiva, Tanz auf dem Vulkan, dalla ritmica ossessiva, rappresenta nelle intenzioni dell’autore il lavoro del direttore d’orchestra della Filarmonica di Berlino: una danza sul vulcano. L’andamento del brano è infatti scoppiettante; suoni a tratti nebulosi, informi, evocano il ribollìo del vulcano e che evocano, nelle battute finali, un’eruzione dalla accattivante ritmica dal sapore jazzistico.

Lodare la precisione, il nitore del suono orchestrale quando si ascoltano i Berliner è come voler “portare vasi a Samo”, eppure ogni volta che si ascolta questa compagine si resta stupiti per il sincrono perfetto delle sezioni strumentali, per la duttilità del volume, una gamma che va dal flebile sibilo sino al più fragoroso fortissimo, per la bellezza del suono, plasmato dal direttore/demiurgo con lavoro certosino.

Il suono dei Berliner di Rattle, tanto diverso da quello di Karajan, da quello, già alleggerito e reso più trasparente di Abbado, è tagliente, immediato, pur non rinunciando al culto dell’edonismo sonoro; una timbrica sempre palpitante, mutevole, come questo breve brano orchestrale dalla grande intensità. I contrabbassi, a cinque corde, sono le fondamenta dell’armonia e dell’intera architettura musicale, che dall’abbozzo degli iniziali borborigmi del ventre del vulcano si struttura nell’orgiastica danza finale.

La Sinfonia n. 3 di Lutosławski è una composizione che in molti passaggi adopera la tecnica dell’ “aleatorismo limitato”: sono previsti diversi passaggi privi di sincronismo, nei quali agli strumentisti è concessa libertà di esecuzione fino a convergere in punti di unione perfettamente determinati. Il compositore detiene il controllo della forma che coesiste con una pronunciata flessibilità ritmica; attraverso il ricorso a figure sonore ripetitive e non sincronizzate viene generata una polifonia varia, ricca e imprevedibile: a questa “libertà” si contrappongono passaggi nei quali la scrittura è perfettamente controllata e annotata, in un modo da fissare la forma della composizione. Un dialogo, in definitiva, tra sincronia e asincronia, tra oggettività e soggettività, all’interno di una architettura formale disegnata dal compositore; una partitura di grande complessità esecutiva proprio in ragione della libertà che viene concessa all’esecutore e che postula il ricorso a sonorità che coprono una variegatissima gamma dinamica, un suono oggettivo, che spiazza l’ascoltatore in molti passaggi.

Rattle è eccezionale nel condurre a unità molteplici soggettività, tenendo in pugno la vasta orchestra e con tensione emotiva sempre elevata.

Più “rassicurante” la seconda parte del concerto integralmente costituita dalla Sinfonia n. 1 in do minore op. 68 di Johannes Brahms, uno di quei classici che i Berliner Philharmoniker potrebbero suonare a occhi chiusi. Rattle ne dà una lettura aliena da turgori romantici, snella, dal suono a tratti trasparente, dall’ordito armonico e strumentale (e di che livello!) sempre individuabile. Una oggettività sonora che esalta, rinnegando appesantimenti strumentali e di agogica, la bellezza formale della partitura, il continuo flusso melodico, il ribollire dionisaco delle ultime battute. Ed è qui che la potenza sonora ed espressiva della formidabile “macchina da guerra” dei Berliner fa intuire ancora una volta i propri pregi: intensità timbrica, sincrono perfetto, rotondità sonora.

Risulta difficile lodare una sezione strumentale più di un’altra: questa compagine orchestrale è un unicum, nel quale ogni famiglia strumentale, ogni singolo strumentista ha il rango di un solista al servizio dell’intera orchestra, perfettamente amalgamato pur senza rinunciare alla propria individualità. Sono gemme di un unico gioiello il flauto di Emmanuel Pahud, il paradisiaco oboe di Albrecht Mayer dell’Andante sostenuto del secondo movimento, il lirismo del primo violino di spalla di Daniel Stabrawa, la rotondità degli ottoni.

Sir Simon Rattle, prossimo direttore musicale della London Symphony Orchestra, è acclamato dal folto pubblico dell’Auditorio Nacional e soprattutto dalla “sua” orchestra, mostrando, con la affabilità che gli è propria, la soddisfazione per l’esito eccelso della serata.

La guida stabile dell’orchestra passerà nella mani di Kirill Petrenko, direttore per il quale l'aggettivo geniale, a mio avviso, non appare affatto sovrabbondante.

Non resta che attendere di “vedere” come il direttore russo-austriaco plasmerà l’orchestra, con la consapevolezza che i direttori passano, ma i Berliner restano, per fortuna.


 

 

 
 
 

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