Infanticidio in cucina
di Irina Sorokina
Ripreso con successo a Stoccarda il capolavoro di Cherubini nell'allestimento di Peter Konwitschny, che colloca l'azione in una spietata modernità, mettendo in luce le motivazioni, le fragilità e l'evoluzione psicologica dei personaggi.
Stoccarda, 7 marzo 2019 - Medée del compositore fiorentino Luigi Cherubini non fu mai molto conosciuta e popolare nella patria dell’autore. Composta nel 1797, alla fine del secolo dei Lumi, ebbe la première a Parigi, ma non si affermò un granché. Fu invece ben accetta in Germania, mentre la prima italiana ebbe luogo nel 1909 al Teatro alla Scala. Il genio di Maria Callas, che cantò la parte di Medea negli anni ’50 e in seguito interpretò il ruolo della maga di Colchide nell’omonimo film di Pier Paolo Pasolini, contribuì alla notorietà dell’opera.
La produzione dello Stuttgart Staatsoper risale a un anno e mezzo fa. Per questa Medea in terra tedesca Werner Hintze e Bettina Bartz, che veste anche i panni di drammaturgo (una figura indispensabile nei teatri lirici della Germania), avevano fatto una nuova traduzione in tedesco.
L’allestimento di Stoccarda è, senza dubbio, un classico esempio del Regientheatre, un vero e proprio marchio delle produzioni tedesche. Ma non basta, perché questa Medea è firmata dal vero guru di questa corrente, cioè Peter Konwitschny (l’attuale ripresa è di Anika Rutkofsky). Quindi la critica aspra indirizzata al moderno capitalismo è inevitabile. Il mondo rappresentato in Medea è decisamente moderno, caratterizzato dalla potenza assoluta del denaro, dai conflitti militari che producono i profughi, dalle contraddizioni ormai insuperabili tra uomo e donna che finiscono spesso con l’omicidio: un mondo sporco che ormai somiglia ad una discarica.
All’ingresso nella magnifica sala dello Stuttgart Staatsoper l’occhio si ferma sul sipario chiuso che rappresenta un mare azzurro piuttosto calmo e delle montagne. Si intravede parte della pedana che sarà il teatro della battaglia. Si, una vera battaglia di Medea contro gli uomini ingiusti e senza cuore. E la fine di questa battaglia sarà segnata da una cosa inaudita per la sua crudeltà, l’infanticidio.
È una straniera, Medea, e, quindi, un essere sconosciuto che mette paura. Una volta aiutò Giasone nella sua ardua impresa di impadronirsi il Vello d’Oro, ma i tempi passano e gli uomini cambiano. Non la vuole più, Giasone, vuole prendere una nuova moglie, Creusa, la giovane figlia del re di Corinto Creonte. Il sipario si alza e assistiamo ai preparativi delle nozze di Giasone con Creusa.
Al primo sguardo, appare davvero strano l’ambiente disegnato da Johannes Leiacker. Non esiste, non può esistere una stanza così misera, così sporca in un palazzo reale. Non è nemmeno una stanza, somiglia troppo a una cucina, tutt’altro che moderna, potrebbe essere degli anni ‘60 del secolo scorso, con piastrelle bianche semplicissime, pochi scaffali, un piccolo frigo, un tavolo, poche sedie, casse piene di bottiglie di birra. Una porta bianca fragile, non ci vuole nulla per buttarla giù. La cucina è piena di giovani donne che vestono colori vistosi (costumi dello stesso Leiacker) e cantano con gioia per le nozze imminenti.
Ma la figlia del re non è per nulla felice. Dimostra insicurezza e preoccupazione, si fa mettere malvolentieri l’abito bianco. Ed ecco l’entrata gloriosa di due gorilla vestiti di nero che accompagnano il re di Corinto, elegante, sicuro e avido, tutto il contrario alla propria figliola.
La paura della povera fanciulla cresce con l’arrivo degli invitati muniti dei regali tra cui la cosa più importante è un seggiolino per bambini. Sono presenti anche due ragazzini, figli dello sposo, che non dimostrano alcuna tristezza per la separazione dei genitori, ma continuano giocare agli indiani.
L’incontro degli ex sposi somiglia vagamente a una lite in cucina; lei lo afferra, lui è terrorizzato; lei si mette sul pavimento, lui le butta addosso la carta da regalo. Il rientro di Creonte trova Medea per terra. Chi aspetta la fine del primo atto, si sbaglia. Lo spettacolo va avanti senza alcuna interruzione.
Dopo Giasone è il turno del re di Corinto di affrontare Medea. Non ha coraggio di rimanere da solo e non molla i suoi due gorilla. Gente curiosa sbircia il loro incontro attraverso la porta semiaperta.
Un’altra scena tra Giasone e Medea che sembra una lite in cucina. Lui implorante, lei terribile, minacciosa; lui le parla, lei lo ignora. Tutto è inutile.
Partito Giasone, Medea si toglie il vestito di velluto color bordeaux, rimane in sottoveste nera con sopra un cappotto militare. L’abito femminile non serve più, il cappotto maschile sì. Si mette i guanti, sparge una sostanza chimica sopra il vestito, lo avvolge in una pellicola trasparente.
Arrivano gli sposi, nel corteo nuziale ci sono i figli di Medea, la cospargono con una specie di coriandoli. Gli invitati gioiosi e un po’ ubriachi fanno un girotondo nella misera cucina. I figli marciano allegramente col pacchetto contenente il vestito mortale avvolto in carta dorata.
Chi aspetta la fine del secondo atto, si sbaglia. Si va avanti.
Durante il preludio Medea immobile e sorridente siede sul proscenio. La decisione terribile è presa e nulla la può cambiare. All’apertura del sipario non ci sono più i muri della misera cucina, solo la porta rimane in piedi. Dietro la pedana c’è una discarica enorme di plastica. Siamo alla fine, il mondo non è altro che una discarica.
I figli ignari giocano accanto alla madre, cercano di coinvolgerla nel loro gioco, sempre agli indiani, uno di loro punta la pistola contro di lei, scherzando. Da dietro le quinte giungono le voci: Creonte e Creusa sono morti. Medea chiede ai figli di aiutarla a barricare la porta, facendo credere loro che sia un gioco. Li copre di carta e li uccide. Il popolo butta giù la barricata e, attonito nel vedere i figli di Medea uccisi, finisce con i coltelli lei, Giasone e l’ancella Neris.
Simone Schneider è una grande Medea. Affronta con coraggio e disinvoltura una parte che non è da tutte, è lunga, faticosa e richiede una tecnica eccellente e una resistenza non indifferente. È una Medea che non possiede la bellezza fisica che avrebbe reso il personaggio più credibile. Sembra una impiegata tedesca, ma potrebbe essere una casalinga disperata. È bionda, non è uscita dal negozio della parrucchiera e piuttosto robusta, dal passo quasi militare. È una donna dei nostri tempi, portata al culmine della rabbia per i motivi validi: il marito l’ha abbandonata, i figli vengono portati via e, come se non bastasse, lei può essere scacciata. La rabbia che già vive in lei cresce da un giorno all’altro, da un momento all’altro. Sono scappati insieme, lei e Giasone, dalla Colchide, sono arrivati a Corinto, qui Giasone è ben accetto e può sposare la figlia del re, mentre lei è minacciata di essere cacciata via. È infuriata, pungente, ironica, agisce con violenza nei confronti di Giasone e accumula una tale sete di sangue che la porta all’omicidio dei propri figli. Simone Schneider è una grande cantante dotata di una voce omogenea, di timbro chiaro e tecnica impeccabile, ma soprattutto di una grande musicalità e padronanza di stile.
A fianco di una tale Medea non sfigura il tenore Matthias Klink nei panni di Giasone. I suoi abiti sono color bianco, è vestito da capitano di marina, molto elegante, potrebbe essere un profugo che non si è perso d’animo durante la fuga. Arriva in un paese straniero con i suoi fedelissimi e si sente sicuro: è fuggito con un mucchio di soldi che consegna a Creonte dopo la firma del contratto di nozze. Ma è destinato a vivere la cosa più terribile riservata per l’essere umano, la perdita dei figli, e in questo doloroso cammino perde il suo fascino e diventa fragile e disperato. La voce versatile e ben educata di Matthias Klink, che vanta una bella linea di canto e una grande raffinatezza nel declamato, è perfettamente adatta al difficile ruolo di Giasone.
Il baritono giapponese Shigeo Ishino (aveva cantato alla prima) non passa certo inosservato come Creonte, grazie a una grande eleganza. Tutto in lui è elegante, persino l’espressione di disprezzo e minaccia. Conquista grazie alla voce chiara e voluminosa e all’accento nobile.
Josefin Feiler aveva vestito i panni di Creusa alla prima un anno e mezzo fa e conferma il suo alto valore d’interprete anche all’attuale ripresa. Disegna un personaggio innocente e fragile, per nulla preparato alle crudeltà che la vita le riserva. Sfoggia una voce piuttosto leggera e chiara e vanta un buon legato, un raffinato fraseggio e una grande espressività.
Helene Schneidermann, anche lei una “vecchia” presenza in Medea, non può certo essere definita come interprete di un ruolo secondario. Canta la parte di Neris con garbo ed espressività.
Corrette nei ruoli di due ancelle Aoife Gibney e Fiorella Hincapié.
Sul podio una presenza femminile, una bravissima Marie Jacquot, vice direttore musicale del Mainfrankentheater di Würzburg, che conduce lo Staatsorchester Stuttgart con una grande sicurezza ottenendo sonorità veementi e cupe, ma che si rivela anche estremamente delicata e commuovente nei momenti dei sfoghi lirici. Lo Staatsopernchor Stuttgart sotto la guida di Manuel Pijol dà il suo meglio, ogni artista crea un piccolo grande ruolo all’interno dell’ensemble che merita pienamente la fama che lo accompagna.
Accoglienza molto calorosa da parte del pubblico e moltissime chiamate per tutti gli artisti a scena aperta.