Il Vivaldi scientifico di Sardelli
di Francesco Lora
Nel Catone in Utica al Festival Opera Barga, il concertatore Sardelli attua una regìa dentro la musica. Tra i giovani cantanti si impongono il mezzosoprano Loriana Castellano e il tenore Valentino Buzza.
BARGA, 27 luglio 2019 Dovevano esserci regìa, scene e costumi, ma nel piccolo Teatro dei Differenti qualche problema tecnico lo ha impedito all'ultimo momento. Senza offesa per la prestigiosa firma prevista, l'appassionato, il critico musicale e il musicologo hanno quasi tirato un sospiro di sollievo. Questo poiché l'opera in cartellone al LIII Festival Opera Barga, il 27 e 28 luglio, era Catone in Utica di Vivaldi, e poiché la sua soluzione sia musicale sia teatrale si addice in pari grado allo specializzatissimo concertatore, Federico Maria Sardelli. Principe dei vivaldologi e interdisciplinare erudito, egli conosce a fondo linguaggi, strutture e meccanica di un'opera che, come questa, rechi la data del 1737; sa dunque decodificarla in ogni nota, segno, figura e termine, in modo scientifico, dialogando con il pubblico da mente a mente, e senza mai svilire il testo a pre-testo, alla maniera di molti e troppi drammaturghi contemporanei. Ascoltare il suo lavoro è una vacanza per chi debba poi armarsi di penna: ogni cosa è al suo posto, impassibile di obiezione, spontanea nel porgere, ricolma di significato; le figure retoriche sospese tra parola e musica sono riconosciute e chiarificate una per una; la filologica orchestra Modo Antiquo, qui modesta nel numero ma capace di tutta la necessaria portata sonora, sembra recitare mediante le melodie.
Al termine della serata, si è così imparato parecchio sulla consistenza letterale del teatro dopera nell'Età moderna, e in specie su questo Catone in Utica così insidioso da maneggiare e singolare da recepire: è un lavoro dovuto all'ultimo Vivaldi, ormai informato a tutte le galanterie salite dal Regno di Napoli alla Repubblica di Venezia, ma poco documentato da altre partiture operistiche coeve che ne riconfermino le risorse; perduto l'atto I, sono qui eseguiti solo il II e il III, senza pretesa di ricostruire una lacuna non solo notevole ma anche difficilmente congetturabile; oltremodo complessa è poi la scrittura vocale, ove i limiti teorici dei registri sono travalicati in nome di un virtuosismo estremo.
Ne sa qualcosa il mezzosoprano Loriana Castellano, uscita a testa alta dalla terrificante aria di tempesta che sigla l'atto II: la parte di Emilia, da lei sostenuta, sarebbe quella della seconda donna nel dramma di Metastasio, ma in Vivaldi è di fatto sbalzata al rango di prima, vista l'estensione enorme e i folli passaggi d'agilità. Rimane al confronto tanto più in ombra, come Marzia, la prima donna titolare, ossia il mezzosoprano Ewa Gubanska, educata nel canto ma tuttora limitata nella prosodia italiana: là dove la Castellano, anche e soprattutto nei recitativi, è maestra di recitazione. Impegnata, accurata e disinvolta è Giorgia Rotolo nel ruolo del primo uomo Cesare, anchesso irto di diavolerie vocali: non si comprende però quale utilità abbia, per un soprano leggero quale ella è, dirigere con insistenza le variazioni sotto il rigo. Nelle più agibili parti di Arbace e Fulvio, il soprano Rui Hoshina e il mezzosoprano Chiara Osella fanno valere i pregi di colori e legato. Formidabile, infine, è l'interprete che tiene la parte del titolo: Valentino Buzza vanta difatti timbro brunito, dizione scolpita, accento eroico, agilità granite e volume autorevole, caratteristiche che tutte insieme restituiscono il vero tenore da opera seria settecentesca alla maniera di Borosini, Fabri o Pinacci; tutt'altro che gli evanescenti tenorini britannici usualmente propinati in Vivaldi.