Sesso, libri ed equivoci
Moshe Leiser e Patrice Caurier firmano un nuovo gioiello teatrale realizzando con spirito e buon gusto la commedia più piccante e surreale di Rossini. Questo Equivoco stravagante non perde un'occasione per divertire, ma non scade mai nella volgarità grazie anche a un cast formidabile capitanato da Teresa Iervolino, Paolo Bordogna e Davide Luciano.
PESARO, 13 agosto 2019 - Tre recite soltanto, nell'autunno del 1811, e L'equivoco stravagante sparì dalla circolazione. Fu la censura a bloccare sul nascere il cammino della prima opera buffa in due atti di Rossini, benché il libretto di Gaetano Gasbarri fosse stato sottoposto a un vaglio censorio in verità, però, piuttosto maldestro, tanto da peggiorare perfino alcuni versi originali. S'immagina a questo punto lo smaliziato lettore del XXI secolo sorridere bonario all'idea dello scandalo che può aver scosso i pudichi antenati, ma sbaglierebbe nel sottovalutarlo. La vicenda della ragazza fatta passare per un maschio castrato travestito onde scoraggiare un pretendente è il pretesto per un gioco pirotecnico verbale, fatto di continue allusioni sessuali, di comicità fisica di grana grossa quanto di citazioni letterarie, ribaltamenti di registro (l'osculo in latino sarebbe il casto bacio fra parenti o sodali, ma il suono delle ultime quattro lettere in un duettino arcadico in cui due uomini si confessano di “gocciolare” per l'emozione e l'affetto, ovviamente, contribuisce a creare un effetto parodistico), costruzioni che potrebbero far pensare a Totò o al Conte Mascetti. Il guaio, con un libretto che punta più al doppio senso o al nonsense che alla coerenza della commedia, è che basterebbe davvero pochissimo per lo scadere nella farsaccia di bassa lega, tanto più che il giovane Gioachino scrive, sì, musica di alto livello (molta della quale, dopo la rapida cancellazione del titolo dai cartelloni, confluirà nella più fine e fortunata Pietra del paragone), ma si diverte anche come un pazzo a sottolineare, per esempio, gli insistenti “Dammela, per carità” indirizzati da Buralicchio a Ernestina (si tratterebbe della mano, ma, si sa, “tutti la chiedono, tutti la bramano da vaga femmina...”).
Tanto di cappello, allora, a Moshe Leiser e Patrice Caurier (in Italia li si ricorderà soprattutto per la meravigliosa Giovanna d'Arco alla Scala, ma chi frequenti un po' Zurigo e Salisburgo conoscerà bene il loro talento comico), che regalano oltre due ore di divertimento al pubblico del Rossini Opera Festival e suscitano genuine, sane risate anche in chi il libretto lo saprebbe a memoria. Il loro segreto è, apparentemente, il più semplice del mondo: la battuta, l'allusione, il doppio senso non è mai sottolineato, non c'è mai una pausa, un gesto di troppo che appesantisca il ritmo comico assecondato e scandito dalla sapida eleganza di Gianni Fabbrini al continuo con il violoncellista Anselmo Pelliccioni. Quindi, anche i passi più grevi, detti e agiti con naturalezza, evitano la volgarità, sposano l'acrobazia linguistica più sofisticata con l'immediatezza naif e un po' surreale del cartone animato, l'alienazione della maschera o la meccanicità del burattino. Non si cerca l'effetto, ma si costruiscono personaggi e situazioni in cui quel linguaggio ha una sua logica, e nella sua logica la sua potenza comica, anche fisica.
Sarebbe, in effetti, semplice limitarsi a esibire l'eloquio pomposo e arzigogolato di Ernestina, ma Leiser e Caurier costruiscono con Teresa Iervolino un personaggio fatto di mille tic gestuali e vocali, una ragazza semplice, nata in campagna ma cresciuta fra i libri senza distinguere fra una vera cultura e un'erudizione un po' confusionaria, quindi sempre protesa a dimostrare il proprio valore e a ricercare l'approvazione altrui fra citazioni più o meno bislacche e perifrasi auliche e contorte. Canta impettita o intimidita, con piccoli scatti, fa balenare, nel bel velluto contraltile, affondi e schiarite che fanno prima presagire un certo disagio, una tensione, e poi esprimono felicemente la liberazione e la tempesta ormonale del rondò “Se per te lieta io torno”. Qui, d'altra parte, Ernestina non si libera solo da una prigione fisica, ma anche da quella mentale: passeggia fra le mucche della sua infanzia e poi si getta allegramente fra le colorature sul suo innamorato per scoprire le gioie del sesso, mentre il coro di soldati un po' brilli la incita pur credendola un maschio (“Bravo, ragazzo mio! Viva la guerra e amor! Che caro giovane, pieno di spirito! Oh come l'agita marziale ardor!"). Davvero una creazione maiuscola, tutta canto e recitazione, per nulla scontata, bensì perfettamente integrata nel sistema psicologico intessuto dai registi. Gamberotto, il padre di Ernestina, è un parvenu che vorrebbe rifarsi al modello educativo di Monaldo Leopardi, ma senza lo spessore intellettuale del nobiluomo recanatese, del quale ricalca piuttosto i difetti con la miopia di un ambizioso Don Ferrante. Paolo Bordogna lo rende tragicomico senza bisogno di calcare mai la mano, forte, oltre che della ben nota maestria attoriale, di una vocalità che il tempo sta rendendo più brunita e salda anche nel registro grave. Buralicchio, il promesso sposo gabbato, è un dandy alla moda: petto rigonfio, fondoschiena sporgente sotto la vita strettissima. Dandy disincantato e ironico, ma anche libertino e volitivo, Davide Luciano lo rende presente e magnetico in ogni istante, gli bastano pochi sguardi perché il suo ritrarsi di fronte al presunto “eunuco” (Ernestina) sia irresistibile, così come non deve far altro che spiegare la sua splendida voce baritonale perché i vari “dammela” risultino comici senza una punta di volgarità, per non parlare dell'esito strepitoso del duetto con Teresa Iervolino, che abbandona le invettive poetiche per un concretissimo "su quel grugno ti do un pugno". Trovarsi di fronte chi canta e recita in questo modo, senza che si ponga un confine fra l'attore e il cantante, è una pura gioia, l'essenza del miglior teatro musicale.
Il tenore Pavel Kolgatin, fra tanto senno, risulta un po' più intimidito nell'emissione, soprattutto in certi attacchi un po' sfuggenti, ma acquista sicurezza nel corso della recita e sulla scena è un Ermanno ben definito. Spassosissima, poi, la coppia dei servitori: Claudia Muschio, come Rosalia, è una governante assennata quanto determinata, mentre lo scatenato Manuel Amati tesse le trame di Frontino con quella dose di sconsideratezza che è il pepe degli eventi.
Siano camerieri o militari, gli artisti del coro del Ventidio Basso costituiscono un organismo comico formidabile, senza rinunciare alla qualità del contributo musicale. Il loro maestro, Giovanni Farina sta, peraltro, al gioco partecipando con spirito alle trovate architettate da Leiser e Caurier per le uscite finali (ma un altro di quei piccoli tocchi di classe che fanno la differenza).
Talora, è vero, Carlo Rizzi sul podio può risultare un po' pesantino, ma il suono dell'Orchestra Rai è tanto duttile e bello, tanto ben delineato in tutte le sezioni da lasciarci completamente appagati.
Si ride, si applaude, si applaude e si ride per tutta la serata: alla fine è una festa per tutti, compresi lo scenografo Christian Fenouillat, il costumista Agostino Cavalca e, per le luci, Christophe Fouret. Ci sono ancora tre recite e biglietti in vendita, vale davvero la pena di non perdersi questo Equivoco stravagante.
foto Amati Bacciardi