Questi fantasmi
Festeggiata ripresa del bell'allestimento di Davide Livermore per il primo cimento operistico di Rossini, riproposto a Pesaro con un cast di tutto rispetto: Jessica Pratt, Cecilia Molinari, Juan Francisco Gatell e Riccardo Fassi.
PESARO 12 agosto 2019 - Dopo la sua creazione che Rossini intese, commosso, per l'ultima volta intonata dalle sorelle Marchisio, quella che, ragazzo, aveva scritto per le sorelle Mombelli; dopo l'opera stesa in lunghi mesi di lavoro nel ritiro di Castenaso, quella composta in maniera frammentaria con la collaborazione del tenore/impresaro/committente; dopo il congedo dalle scene italiane, il suo primo lavoro teatrale; dopo la regina guerriera, la principessa che canta fiera “Lascia ch'io l'armi impugni”. Il quarantesimo Rof affianca Semiramide a Demetrio e Polibio, l'apice e il punto di partenza, ma relega il lavoro del diciottenne Gioachino al rango di curiosità doverosa in un festival monografico. Innanzitutto c'è la questione filologica, curata mirabilmente da Daniele Carnini e di recente arricchita dall'acquisizione di una fonte autografa del quartetto del secondo atto “Donami omai Siveno” (pezzo tanto amato da Stendhal!), unico pezzo dell'opera noto in una pagina di pugno dell'autore, ma in stesura posteriore e quindi estranea alla ricostruzione del composito – e talora acerbo – lavoro di bottega che vide Rossini cimentarsi per la prima volta con un'opera, piuttosto utile a indagare il rapporto fra l'autore e l'esperienza giovanile.
Come sempre, a Pesaro, l'attenzione alla dimensione teatrale è fondamentale e la ripresa dello spettacolo firmato da Davide Livermore e rirpeso da Alessandra Premoli ne riconferma il valore, intatto dopo quasi dieci anni. La fragilità del libretto (di Vincenzina Viganò Mombelli, seconda moglie di Domenico, madre dellesorelle cantatrici), che complica oltremodo l'agnizione del giovane Siveno come Demetrio figlio dell'omonimo re di Siria, trova felice risoluzione rivissuta dai fantasmi del palcoscenico che si materializzano durante la notte. Non solo trucchi, apparizioni, oggetti volanti conferiscono alla breve partitura una suggestione fantastica affatto vantaggiosa, ma la moltiplicazione di spettri e riflessi valorizza anche il gioco di simmetrie e rispecchiamenti del dramma: due padri e due figli, una doppia agnizione, un doppio rapimento e reciproco tentativo di salvataggio fra i due innamorati. Esperto di mode, modi, forme e formule melodrammatiche, Livermore, in questo spettacolo non sbaglia un colpo.
Se la drammaturgia è servita, non può che prender corpo in un cast di prim'ordine, anche perché le esigenze della partitura non sono trascurabili. Sì, le due protagoniste erano davvero giovanissime e la parte del basso era sostenuta da un maggiordomo-factotum, non esattamente da un virtuoso di grido, ma il capocomico, impresario, co-compositore era pur sempre un tenore come Domenico Mombelli, già marito di Luisa Laschi, la prima contessa delle Nozze di Figaro e lui stesso artista di un certo rilievo, mentre delle due ragazze Maria Ester, il soprano, avrà una carriera di buon livello, figurando addirittura, qualche annetto più tardi, come prima Madama Cortese nel Viaggio a Reims. Ecco allora che per Demetrio padre, sotto il nome di Eumene, si scrittura un tenore ben collaudato con Juan Francisco Gatell, che può facilmente esibire pienezza d'emissione di scuola latina, chiarezza ed efficacia di dizione, debita nobiltà d'accento e confidenza con lo stile classico e protoromantico secondo quanto richiede il testo. Ecco, allora, Jessica Pratt a imporre la scrittura astrale, tutta sbalzi, imperiosi virtuosismi e spericolati sovracuti, della grande aria di Lisinga “Superbo, ah! tu vedrai”, ma anche e soprattutto a offrire, con emissione perlacea, una lezione di legato e e retorica belcantista a tutto tondo. A rievocare l'altra sorella, il contralto Marianna, c'è invece Cecilia Molinari, dalla preziosa sensibilità al cantabile, come dimostra la sua toccante e ben tornita esecuzione di “Perdon ti chiedo, o padre”, splendido esempio dell'innata propensione di Rossini, se non all'afflato melodico d'ampio respiro, all'ideale del “cantar che nell'anima si sente”. Una bella sorpresa è, infine, Riccardo Fassi quale Polibio forbito nell'emissione, ben educato nell'articolare e nell'esprimere, nonché dotato di una voce ben timbrata che speriamo di riascoltare presto.
Accanto ai solisti, il coro del Teatro della Fortuna M. Agostini si mostra compatto sotto la guida Mirca Rosciani, mentre Paolo Arrivabeni sembra cercare nell'orchestra Filarmonica Gioachino Rossini un suono un po' rustico che ricordi le origini avventurose di una partitura in cui già si ravvisano ben riconoscibili impronte rossiniane, ma ancora lontana, anche per la quantità di pagine convenzionali o di dubbia paternità, dai frutti più maturi della musa. Una nota di merito va alla realizzazione, com'è giusto, del basso continuo con cembalo (Daniela Pellegrino) e violonchello (Sebastiano Severi). Arrivabeni, poi, accompagna i cantanti e, dato il valore delle voci in campo e la felicità dell'allestimento, tanto basta a garantire un vivissimo successo. Applausi a scena aperta, acclamazioni, tanto entusiasmo a regalare un momento di gloria anche al primo esperimento del giovane Gioachino alla corte dei Mombelli.
foto Amati Bacciardi