Ombre dissipate sulla Frosch
di Francesco Lora
Dopo l’avventurosa recita del 6 giugno, DieFrau ohne Schatten di Strauss torna alla Staatsoper di Vienna al netto dello stato di emergenza e con una lettura musicale già rinnovata: intorno a un Thielemann impareggiabile sono riconfermate Nylund e Stemme, mentre si affacciano Schager, Fujimura e Konieczny.
VIENNA, 18 ottobre 2019 – In queste pagine si è già dato conto di un’avventurosa recita della Frau ohne Schatten di Strauss alla Staatsoper di Vienna [leggi la recensione]: nella singola data del 6 giugno scorso, su cinque serate, ben tre primi interpreti avevano dato forfait all’ultimo momento, costringendo nel volgere di poche ore a una disperata ricerca di sostituti, obbligando a tagliare su due piedi vari passi dell’opera ignoti a questi ultimi, dando infine luogo a una rappresentazione elettrizzata dalla tensione generale. Nel recensire, si era anche ricordato che quel nuovo allestimento con la direzione di Christian Thielemann, la regìa Vincent Huguet, le scene di Aurélie Maestre e i costumi di Clémence Pernoud avrebbe avuto, dopo le trionfali recite primaverili, altre tre agognate recite il 10, 14 e 18 ottobre: rappresentazioni predestinate a una caccia al biglietto da lacrime e sangue. In prima istanza si è ora ritrovato lo spettacolo di maggio-giugno al netto dello stato di emergenza: i tagli sono stati riaperti, consentendo il rarissimo ascolto della partitura integrale, così più superba che mai; il più grave forfait patito il 6 giugno è stato appianato dal pronto ritorno in locandina del soprano Nina Stemme; la parte scenica è tornata a interpreti referenziati da un ciclo di prove anziché lanciati in una sfida sul palco. In altra istanza si è però anche saggiata una lettura musicale rinnovata, grazie a un incisivo riassortimento sia dei protagonisti sia dei comprimari, oltre che alla caparbietà di Thielemann nel non accontentarsi di ripetere.
La sua direzione ha a monte la conoscenza capillare della partitura specifica nonché della letteratura straussiana, e ha a valle la speciale complicità di un’Orchestra della Staatsoper pullulante in questo caso di Wiener Philharmoniker. Oltre lo spettacolo dell’orecchio v’è quello dell’occhio: Thielemann riduce soprattutto in tale occasione il gesto magnifico a minimi cenni e misteriosi, chiedendo con insistenza dagli strumenti non tanto l’oro massiccio quanto la quieta rarefazione. Gli basta fare poco o niente – si direbbe – per conseguire il miracolo: si ascolta il sano, brusco, materico contributo di ciascuna sezione d’orchestra, senza che l’insieme strumentale precipiti in una calligrafica uniformità timbrica; si ascolta un discorso musicale dove le linee melodiche si rincorrono, affiancano e incastrano in apparente libertà: affermano ciascuna un proprio tempo, un proprio colore, un proprio pensiero, un proprio fraseggio, e danno così una singolare dimostrazione del fatto che il testo consiste non soltanto in ciò che si può scrivere.
Un vanto di Thielemann è poi la capacità di sostenere i cantanti in modo tale che le loro facoltà risultino aumentate. Ed ecco Camilla Nylund replicare la propria Imperatrice con tale souplesse da far credere che quella parte massacrante – anzi incrementata dalla riapertura dei tagli di tradizione – sia in verità a facile portata. Andreas Schager segna invece e finalmente il proprio debutto come Imperatore: presenta un canto meno corposo rispetto a quello dello Stephen Gould che l’aveva preceduto, ma anche assai più a fuoco nel registro acuto e più duttile nel dare caratura lirica al personaggio. Già affidata a una carismatica Evelyn Herlitzius (titolare) indi a una torrenziale Linda Watson (sostituta), la parte della Nutrice perde terreno nei mezzi di Mihoko Fujimura, sempre stati più sottili che copiosi e oggi ormai ridotti a un velo insinuante dove occorrerebbe la sciabolata netta. Risulta curiosa la parziale riformulazione dell’altra coppia nell’opera: il tintore Barak passa dal comune e pacato Wolfgang Koch, ascoltato in primavera, all’imperioso e risonante Tomasz Konieczny; se gli si dà in moglie la Stemme, con quel canto di solidità porfirea, omogeneo da un registro all’altro, si giurerebbe che a duettare siano non due poveri diavoli di periferia, ma Wotan e Brünnhilde nel Walhalla. La parte del Messaggero divino meriterebbe qualcosa di più dell’onesto comprimariato di Clemens Unterreiner, là dove per il Guardiano della soglia del tempio si fa disinvolto scialo con la nota voce cristallina di Daniela Fally.