Beethoven con grazia
di Antonino Trotta
Classe da vendere e sagace complicità sono gli ingredienti di in una sonata a Kreutzer di gran temperamento. Francesca Dego e Francesca Leonardi incantano cos’ l’Unione Musicale, nel primo dei due concerti dedicati alle sonate per violino e pianoforte di Beethoven.
Torino, 10 aprile 2019 – Non è la somma, in un ensemble, a fare il totale, anzi, l’algebra della musica da camera sottostà alle regole di un sistema assiomatico che farebbe inorridire ogni amante della matematica. Nessun resto, riporto o cifra decimale: l’operazione con cui artisti di vario spessore si legano dovrebbe avere esito unitario, come il respiro che anima il fraseggio o la visione che argomenta l’interpretazione. Addizionando e sottraendo, moltiplicando o dividendo, con Francesca Dego e Francesca Leonardi, i conti tornano, perfettamente. Perché non è solo il talento di entrambe a corroborare l’incontro, ma l’incredibile affiatamento, frutto forse di un legame protratto oltre la professionalità della collaborazione, a impreziosire l’alchimia quando insieme si ritrovano sul palcoscenico. Così se un periodo valorizza il pianoforte piuttosto che il violino, o viceversa, poco importa, il risultato è sempre lo stesso, e che risultato. Classe da vendere, tecnica e stile, impeto e delicatezza, al loro Beethoven, dedicatario di ben due serate all’Unione Musicale, non manca nulla. Aggiungiamo pure, senza troppe remore, che son belle, molto belle, e se è vero che l’occhio vuole la sua parte, qui si rischia di viziarlo.
Il primo dei due concerti prende il via con la sonata per violino e pianoforte in re maggiore op.12 no. 1, la prima delle dieci, formalmente ancora legata all’influenza di Mozart nel genere. L’ossatura della composizione è semplice, i passaggi da esposizioni a sviluppi non sfoggiano particolari colpi d’ala e la linearità del testo musicale si riflette appieno in un’esecuzione votata alla grazia e all’eleganza espressiva. Più dell’Allegro con brio iniziale, dove la sapidità del carattere si afferma subito nella pienezza dell’introduzione, finemente smorzata sino all’ingresso liquido del tema, l’Andante con moto del Tema con Variazioni centrale si trasforma nella vetrina espositiva per un melodiare aristocratico del violino e del pianoforte, in alternanza o compenetrazione, ora per fortificare una linea, ora per rivelare una geometria nascosta. La seconda variazione, nella tonalità del movimento, è di straordinaria bellezza: staccati in punta di archetto e frasi legate inoltrano il canto luminoso del violino nel registro più acuto, dal suono ancora robusto e ambrato, mentre il pianoforte, morbidissimo, sgrana arpeggi e sussulta gioioso con ottave che esaltano l’eccitazione ritmica di questa graziosa parentesi.
In contrapposizione alla prima sonata, dove il violino è ancora un’infiorettatura della parte pianistica, nella sonata no.9 op. 47 – la celeberrima “Sonata a Kreutzer” – la scrittura concertante diviene l’elemento prioritario dell’intero discorso musicale che il duo Dego-Leonardi intavola con gran temperamento. All’introduzione riflessiva del primo movimento, Adagio sostenuto – Presto, segue un’incandescente esposizione e il violino s’impone, risoluto e assertivo nei pizzicati, sui martellati cristallini del pianoforte. La forza drammatica è trascinante eppure le sonorità, soprattutto della tastiera, non eccedono mai, nonostante la generosa scrittura beethoveniana: all’intensità della sonata giova esclusivamente l’eccezionale sinergia del duo. Ispezionando ciascun inciso, infatti, si nota come il tessuto agogico sia ricamato ad arte da piccole modulazioni ritmiche che addobbano l’icastico movimento. Un accelerando qui, un ritardando là e il fraseggio si fa imprevedibile, nervoso, irrequieto, esaspera la fregola dionisiaca della sonata pur preservando il porgere garbato di violino e tastiera. È insomma il trionfo di quella sensualità che ha acceso – come dargli torto! – la fantasia di Tolstòj. L’armonioso pronunciare è ancor protagonista nell’Andante con Variazioni centrale, oasi di trasfigurata serenità dopo la tensione dinamica del primo tempo. Il violino si cimenta in spiritose sferzate verso il ponticello e Francesca Dego non li lascia certo intimorire da quella estrema puntatura – qui Beethoven scrive il suono più alto di tutte le sonate – che invece sorniona enfatizza con superba carica teatrale in un’atmosfera idilliaca, quasi di virginale candore. Quindi la tarantella del Presto finale, un moto perpetuo in sei ottavi – tipico degli episodi pastorali –, smaliziato e accattivante. In un gioco di sagace complicità, i riflettori si spostano da una Francesca all’altra senza alcun antagonismo, evidenziano il tocco lucente della Leonardi prima e la purezza d’intonazione della Dego poi.
Nel mezzo dei due estremi sonatistici, le 12 variazioni in fa maggiore sopra «Se vuol ballare» da Le nozze di Figaro WoO 40 sono un succulento sorbetto da gustare tra le portate principali. Libera dalle logiche ermeneutiche che prima ne nascondevano lo spessore – come è giusto che sia –, la brillantezza del tecnicismo strumentale sbalza adesso prepotente nel susseguirsi delle spassose variazioni.
Platea gremita, nonostante la pioggia, e applausi calorosi per lo splendido duo. Poi con due bis, il cantabile in re maggiore di Paganini e la bagattella op.28 no. 2 “Kleiner Mohrentanz” di Busoni, Francesca Dego e Francesca Leonardi congedano, temporaneamente, il pubblico torinese. Da non perdere, allora, il secondo concerto mercoledì 17 aprile.