Intorno al Rof
L'ultimo concerto del Rossini Opera Festival 2019 è l'occasione per l'apprezzato debutto nel cartellone estivo del giovanissimo direttore Alessandro Bonato e per ascoltare una coppia d'artisti pesaresi d'adozione in un programma assai interessante, che però non convince del tutto nella resa vocale.
PESARO, 23 agosto 2019 - Il quarantesimo Rossini Opera Festival, nell'estate 2019, segue le celebrazioni del 2018 per il centocinquantesimo dalla morte del Cigno di Pesaro. Un momento di bilanci, riflessioni e progetti, in cui quelle quattro decine di edizioni espresse in numeri romani arrivano ad alludere, curiosa coincidenza che invita al gioco di parole, anche alla dimensione Extra Large del progetto e alla sua espansione fuori dal calendario estivo canonico. Si sono moltiplicate le iniziative a Pesaro e da Pesaro esportate in ogni dove; fra queste, un'opera in collaborazione fra Conservatorio e Accademia Rossiniana. Nell'inverno 2019, per il “non-compleanno” di Gioachino (bello scherzo, nascere il 29 febbraio!) è stata la volta della Cambiale di matrimonio e il cast giovane era guidato da un concertatore giovanissimo, il veronese Alessandro Bonato, classe 1995.
Dagli eventi “extra Rof”, ora Bonato debutta nel festival vero e proprio: chiamato a guidare l'Orchestra Sinfonica G. Rossini per il concerto di Anna Goryachova e Simone Alberghini sa già attirare l'attenzione, confermando la fama che lo precede nella sua rapida ascesa. Piace il piglio deciso, il vigore che imprime alle sinfonie di Norma e della Gazza ladra, baldanzose, anche drammatiche ma mai violente, sempre controllate, con interessanti spunti dinamici. L'orchestra, specie nei fiati, non sarà perfetta, ma trasmette la piacevole sensazione di una bella sintonia con un maestro dalle idee chiare.
Con un, graduale, debutto sul podio, abbiamo sul palco due volti ben noti sulle scene pesaresi e che a Pesaro si sono stabiliti. Simone Alberghini ha esordito giovanissimo al Festival, nel 1995 con Zelmira, e da allora ne è stato uno dei frequentatori più assidui, nonché uno dei molti affetti da quel “mal di Pesaro” che spinge a trasferirsi – o a sognare di trasferirsi – nella città di Rossini. Anna Goryachova conta esperienze più recenti (prima di quest'anno Matilde di Shabran, L'italiana in Algeri e uno Stabat Mater), ma anche lei, sposata da tre anni con Alberghini, pesarese d'adozione a tutti gli effetti. La loro presenza in questo quarantesimo Rof sembra quasi un omaggio sottotraccia al clima dei “tanti affetti” che si sono sviluppati e si sviluppano intorno a Pesaro, agli incontri, all'amore per una città dal fascino quasi inspiegabile. Si fatica a dire cosa abbia davvero di speciale, la terra natale di Rossini, eppure innamora, ha un suo bizzarro “soave non so che”, inafferrabile e proprio per questo irresistibile.
Nel concreto, il programma di Goryachova e Alberghini è interessante, centrato sulla propensione di entrambi a muoversi nel repertorio belcantista senza etichette vocali. Emerso come basso, l'artista bolognese canta oggi prevalentemente da baritono, ma scende ancora al registro più grave seguendo l'inclinazione musicale più che la catalogazione del registro. Il mezzosoprano russo spazia dal contralto a parti anfibie quasi sopranili e in quest'occasione affianca Tancredi e il Romeo belliniano alla vocalità Falcon di Léonor nella Favorite, al mezzosoprano acuto di Seymour in Anna Bolena, perfino alla Ninetta della Gazza ladra, che sarebbe soprano, per quanto di tessitura centrale se non a tratti piuttosto bassa. L'idea non è peregrina, anzi, molto interessante: ai tempi di Rossini, Bellini e Donizetti la distinzione dei registri era molto più sfumata rispetto a oggi; il baritono stentava ancora a distinguersi dal basso, primedonne quali Giuditta Pasta e Maria Malibran si presentavano a fasi alterne, anche ravvicinate, come contralti e come soprani. Però, per sviluppare nel migliore dei modi questo tema, sarebbe necessaria una caratura tecnica e artistica, una personalità che qui fatichiamo a trovare. Alberghini si muove in modo più lineare, canta “Ah! Per sempre io ti perdei” dai Puritani, canta “Léonor, viens” dalla Favorite, dà un saggio di commedia con le “Medaglie incomparabili” del Viaggio a Reims, canta i duetti dalla Gazza ladra e da Anna Bolena. Insomma, si muove nel territorio del baritono belcantista, sfiorando, com'è storicamente più che plausibile, quello del basso cantante. L'interprete è accattivante, musicalmente attento, la voce, si sa, ha una brunitura un po' ruvida, accentuata da una tecnica personale certo funzionale ai suoi mezzi (una carriera di oltre un quarto di secolo lo testimonia), per quanto non sempre omogenea nell'emissione.
Goryachova appare più sbrigativa nel fraseggio, energica ma non troppo rifinita nel caratterizzare personaggi tanto diversi, tanto che se Tancredi inizialmente può colpire per il taglio più secco e meno languido – ma anche troppo avaro di colori e legato – Ninetta passa quasi inosservata. Si ha la sensazione di un'impostazione basata sulla natura, puntando sul registro grave a discapito del controllo dell'acuto, che sarebbe più facile e ampio (tanto da far pensare a una vocalità non certo contraltile, anzi, protesa al registro superiore). Ne risulta, così, un canto un po' duro, privo di quel fascino versatile che il programma esigerebbe, dalla sortita di Romeo fino alla seduzione di Giovanna Seymour (nel programma di sala si sostiene che sia Enrico VIII a irretire l'amante promettendole il trono, ma a noi pare il contrario, che il re, anzi, accusi la donna di amarlo per pura ambizione, mentre la donna si adopera per persuaderlo a uscire allo scoperto: “La mia fama è a pie' dell'ara; / Onta altrove è a me serbata”).
Il meglio, allora, viene nel bis, quando l'affiatamento indiscutibile della coppia può esprimersi appieno nel duetto fra Figaro e Rosina, che appare assai ben rodato, mette in luce tutta la simpatia di Alberghini e trova più sciolta anche Goryachova, visibilmente a suo agio anche nella tessitura della parte.
Il Rof sta finendo, è l'ultimo giorno, manca solo una recita di Demetrio e Polibio, il pubblico non è dei più numerosi, ma l'affetto per il festival e per quel che gli gira attorno – anche l'amore degli artisti per la città e la manifestazione, anche nuovi nomi che gradualmente entrano nell'orbita rossiniana – non manca.