Ardore tranquillo
di Lorenzo Cannistrà
Terzo appuntamento il 1° ottobre al Teatro alla Scala con le suggestioni dei Vier letze Lieder e l’autobiografico Ein Heldenlebel di Richard Strauss, con Camilla Nylund e Zubin Mehta
MILANO, 1 ottobre 2020 - Dopo i fasti della Traviata (sia pure non in forma scenica) e in attesa della Terza di Mahler, prosegue la felice rentrée scaligera di Zubin Mehta alla guida della Filarmonica della Scala, con due importanti pagine di Richard Strauss, legate da un sottile fil rouge.
I Vier letze Lieder (Quattro ultimi canti), scritti da Strauss nel suo ritiro svizzero a un anno dalla scomparsa, su testi di Hesse e Eichendorff, sono composizioni intrise della dolce e serena malinconia del distacco dalla vita, in cui l’idea della morte, nella sua ineluttabilità e tragedia, è filtrata e trasfigurata attraverso il prisma di una parabola umana consapevolmente vissuta.
Ma l’idea di un bilancio della propria esperienza artistica e umana è presente anche in Ein Heldenlebel (Vita d’eroe), del 1898, che si pone alla fine di un ben determinato ciclo compositivo, quello dei primi sette poemi sinfonici. Qui l’intento autobiografico è ancora più scoperto, e si esprime nella presenza di un programmamche albergava nella mente di Strauss ancor prima della stesura (benchè i titoli delle sei sezioni siano stati enunciati solo dopo la prima esecuzione).
Protagonista, insieme con un Mehta disteso in volto anche se cauto nell’andatura, il soprano finlandese Camilla Nylund, collaudata interprete straussiana di lunga data.
Bella e imponente, la Nylund ha dato buona prova della sua vocalità in questo difficile repertorio. Nel primo Lied, Frülhing (Primavera), il soprano deve in verità faticare non poco per mantenere una linea vocale costretta a trascolorare continuamente seguendo i capricci di un’armonia davvero proteiforme (e sublime). In September (Settembre) e Beim Schlafengehen (Addormentandosi) gradualmente la finlandese ha acquistato sicurezza, fino a raggiungere un completo dominio in Im Abendrot (Al tramonto), in cui ha sfoderato armonici sicuri e di grande bellezza (alternati a sagaci appiattimenti), nonchè sontuosi crescendo. In questi Lieder Mehta crea una sorta di ideale tappeto sonoro, che, unito alla scrittura spesso “strumentale” della voce, dà l’idea di un’intima compenetrazione tra mezzo vocale e compagine orchestrale. Da ricordare il finale di Im Abendrot, in cui Mehta riesce nel difficile compito di rendere la quiete (“Molto tranquillo” dice la partitura) della contemplazione della natura, una volta giunti al limitare dell’esistenza: ne è segno tangibile la misura perfetta dei trilli dei flauti, a imitazione del frullo delle allodole.
Dopo la celestiale parentesi dei Vier letze Lieder, Mehta ha regalato al pubblico meneghino un memorabile Ein Heldenleben (Vita d’eroe), poderosa creazione articolata in sei sezioni.
Nell’interpretazione del leggendario direttore indiano, la componente epica si fonde idealmente con la consapevolezza raggiunta dopo un’intera vita di gioie e di dolori.
Nel primo episodio, L’eroe, il tema ascendente ha (ovviamente) il giusto slancio: ma non vi sono, anche nella successiva complessa elaborazione tematica, ruvidità, movimenti inconsulti. Lo slancio giovanile è smussato da Mehta senza perdere niente della sua forza vitale.
Anche in Gli avversari la modernità del linguaggio straussiano, che si esprime nel complicato e petulante intarsio di sestine e terzine da parte dei fiati, viene resa senza asperità, e con una ammirevole chiarezza ritmica.
A seguire, La compagna dell’eroe vede protagonista la talentuosa Laura Marzadori, che, oltre all’inevitabile sfoggio virtuosistico, caratterizza alla perfezione il temperamento capriccioso, ma all’occorrenza dolce e delicato della sua donna.
Al contrario, in Il campo di battaglia, il tono dolce e meditativo e la composizione dei contrasti lasciano spazio alla fragorosa modernità dello scontro tra i temi dell’eroe e dei nemici, sullo sfondo di una percussione ritmica che ha il necessario carattere barbarico. La vittoria finale tuttavia fa riemergere la bellezza del tema dell’eroe, riproposta qui da Mehta con un’inaudita sensualità.
In un clima riappacificato, la sensualità ritorna in Le opere di pace, in cui si susseguono le citazioni dai personaggi dei precedenti poemi sinfonici, e non solo.
Infine, in Il ritiro dal mondo e fine dell’eroe, Mehta riporta alla luce ulteriormente il fil rouge con i Vier letze Lieder di cui si parlava all’inizio: il clima pastorale, contemplativo, la quieta accettazione della fine è anche in questo finale la cifra predominante. A ciò si aggiunge, e Mehta (con la preziosa collaborazione della Marzadori) non manca di sottolinearlo, l’intervento del tema della compagna, che stempera un’incipiente tensione.
Vale la pena qui ricordare che anche in Im Abendrot il cammino sereno verso l’ultimo approdo è compiuto non da soli, ma con il conforto terreno della compagna di una vita (Gegangen Hand in Hand, andando mano nella mano, nel testo di Eichendorff): il fil rouge tra questi capolavori sta anche nella rappresentazione plastica di una realtà, sempre presente in Strauss, come proprio manifesto poetico.