Luna d'Alabama
di Roberta Pedrotti
Debutta su Raiplay il dittico Brecht/Weill dal Teatro alla Scala, ultimo e visibile frutto di un percorso travagliato, seminascosto nelle sale chiuse al pubblico. Se l'esito è registicamente un po' didascalico, il cast guidato da una carismatica Kate Lindsey, l'orchestra, il concertatore Riccardo Chailly seducono e fanno pensare.
Leggi anche la cronaca della giornata della registrazione: Milano, Die sieben Todsünden / Mahagonny Songspiel, 17/03/2021
Streaming da Milano, 18 marzo 2021 - Alla fine, la luna dell’Alabama è sorta, anche se magari come falce sottile rispetto a quanto rimane in ombra, brulicante e operoso. Raiplay ha trasmesso il dittico registrato mercoledì alla Scala in attesa di rimandarlo su Rai5 sabato 27 marzo (il consiglio è tuttavia sempre di preferire la fruizione web, con una qualità audio superiore). Vediamo dunque lo spettacolo di Irina Brook, tutto realizzato con materiali di recupero, nella sua forma definitiva: un po’, ovvio, si perde sul piano della funzione degli spazi e del loro significato, lasciando in evidenza proprio l’aspetto meno interessante, più didascalico e illustrativo dell’azione. Tuttavia, uno sguardo ravvicinato giova là dove cattura appieno la bella prova di Kate Lindsay e del suo alter ego Lauren Michelle. Vale a dire, in Die sieben Todsünden, la mente e il corpo, la ragione e l’istinto, la parola e la danza, dato che Anna I dovrebbe essere cantante e Anna II una ballerina cui spetta di pronunciare solo poche parole, ma poiché poi in questo allestimento le due Anna arriveranno a Mahagonny con i nomi di Bessie (carnale e volitiva) e Jessie (trasognata e romantica), allora al mezzosoprano Anna I/Bessie si affianca una Anna II che poi esibirà come Jessie voce sopranile. Peraltro, le esigenze tersicoree dello spettacolo sono perfettamente alla loro portata, né si avverte una gran differenza d'impegno coreutico se non nel carattere: nervosa, volitiva e viperina Lindsey, più fragile, spaurita e in balia degli eventi Michelle. Così, in piena evidenza, sentiamo anche tutti i colori, le inflessioni, l’energia dell’una a catalizzare la scena dal percorso iniziatico fra i peccati capitali alla parabola dell’impossibile Bengodi del materialismo individualista, mentre l’altra fa da delicato controcanto intonando per prima, speranzosa, “Oh Moon of Alabama”. Elliott Carlton Hines, Andrew Harris, Matthäus Schmidlechner, Michael Smallwood compongono il quartetto maschile: i fratelli e i genitori di Anna, i disperati cercatori di felicità di Mahagonny. L’impasto vocale è ben amalgamato nel timbro quanto netto nell’articolazione, sulla scena si muovono con disinvoltura non inferiore alle colleghe, all’attore Martin Chishimba, ai danzatori Matteo Gavazzi ed Elena Dale.
L’impatto che dal vivo può avere la musica di Kurt Weill con l’orchestra della Scala nel punto di massimo vantaggio acustico non può che essere incomparabile, ma non vale l’equilibrio con la scena che giunge nella resa video finale; peraltro, lo splendido ricordo è rinverdito nel sentire i soli duettare con le voci con questo smalto, questa intelligenza musicale e teatrale, nel ritrovare certi colori torvi impressi da Chailly, o, ancor più, il meccanismo feroce del ritmo che inghiotte gli ultimi brandelli di umanità. Si dica quel che si vuole, anche dopo il cosiddetto tramonto delle ideologie, poche battute di Weill restano più fortemente politiche, in senso lato, di mille esplicite sovrastrutture. L’alienazione e il desiderio, l’illusione di una falsa felicità e la corsa in un ingranaggio implacabile sono tutti nell’intreccio scaltro, oggettivo, di tempi di danza, moduli colti e di consumo, soluzioni ardite o affabili, sempre con una ragione, una continuità interna e perfettamente logica. Alla fine si resta svuotati, sedotti e stremati nei sensi, accesi nella mente. Alla fine anche la zampata di Brecht è arrivata soprattutto attraverso Weill, un Weill senz’altro inconsueto in quest’ampiezza sinfonica classica, ma, pure, non addomesticato, straordinariamente suadente e atro, aguzzo e mellifluo.
Questa faccia della luna, illuminata sui nostri schermi casalinghi, sarebbe mai stata la medesima senza quella oscura e accidentata rimasta nascosta nella Scala chiusa? Anna I esisterebbe senza Anna II, il sogno infranto di Mahagonny senza la scalata dei peccati capitali, i peccati capitali senza la prospettiva di una Mahagonny? Esisterebbe perfino l’arte, senza la banalità quotidiana? Dietro lo schermo, c’è ancora un teatro, ci sono ancora persone in carne e ossa, c’è ancora qualcosa da dire. Ci sono le luci e le ombre della luna, i suoi volti che si rinnovano ciclicamente. C'è il passato, c'è il futuro che resistono a un vuoto presente sospeso senza radici e prospettive.
foto Brescia Amisano