AAA Coach cercasi
di Irina Sorokina
La grande popolarità di cui gode Verdi in Russia non comprende le opere precedenti la Trilogia popolare. Così, si saluta con particolare entusiasmo il Nabucco proposto a Mosca e introdotto finalmente nel repertorio del teatro Helikon-opera, produzione che, tuttavia, mette in luce anche limiti dovuti proprio alla scarsa dimestichezza con questo repertorio.
Mosca, 26 marzo 2021 - Non capita quasi mai vedere il Nabucco verdiano negli spazi infiniti della Russia, dove tuttavia la musica del genio italiano è di casa da sempre. La cosiddetta trilogia popolare, Un ballo in maschera, Don Carlo, Aida, Otello godono una grande popolarità, ma del repertorio del Verdi giovane non ci sono quasi tracce. Nabucco si conosce per vie discografiche, ma non certo grazie alla sua presenza in cartellone. Gli ammiratori del “Va pensiero sull’ali dorate”, che in Russia potrebbero formare un esercito, ora possono recarsi al teatro moscovita Helikon-opera fondato e finora diretto dal regista Dmitry Bertman, una figura molto conosciuta ormai (trentun’anni d’attività), amata dagli uni e non accettata dagli altri. Qui, nel cuore della capitale russa, a poche centinaia di passi dal Bol’soj e lo Stanislavsky, si può vedere l’opera che rese il Verdi celebre, dal vivo.
Il Nabucco bertmaniano ha la storia tutta sua. Nell’ormai lontano 2004, il regista mise in scena il titolo verdiano in Francia, in una co-produzione dell’Opéra di Dijon e l’Opéra di Massy, entrambi teatri costruiti fuori dai centri storici e, in realtà, moderni auditorium, capaci di accogliere le imponenti scenografie di Igor Nežny, collaboratore fisso di Bertman. Fu un Nabucco in chiave moderna, ovviamente, che, tuttavia, non perse un legame stretto con l’originale: l’opera verdiana non subì trasferimento in un’altra epoca, si videro il deserto sabbioso e i bassorilievi dell’antica Babilonia, anche se non mancarono dei riferimenti alla contemporaneità come le torri caratteristiche dei giacimenti del petrolio e una vasca d’oro al posto del trono. Fu un Nabucco decisamente colorato e un po’ naïf grazie alle tinte sgargianti dei costumi di Tat’jana Tulub’eva, anche lei la storia collaboratrice di Bertman.
Nel 2005 l’allestimento approdò al Teatro Mariinsky di San Pietroburgo con Maria Guleghina del ruolo di Abigaille: la cantante russa è rimasta nella storia come una delle migliori interpreti dell'impervia parte della figlia adottiva del re babilonese. L’allestimento subì le modifiche, ma conservò le scenografie di Nežny e i costumi della Tulub’eva. Da sempre Bertman ha voluto portare la sua creatura a Mosca. Sentita da orecchie occidentali, l’accusa della propaganda del sionismo suona strana se applicata a Nabucco, ma la scia di una simile mentalità esiste ancora nella Russia contemporanea: quando volle far rappresentare il suo spettacolo sul palcoscenico del Teatro di prosa M. Gorky, la risposta della direttrice artistica di allora fu un no.
Ora possiamo tirare un sospiro dei sollievo: il Nabucco bertmaniano si rappresenta in casa, a pochi passi dal Teatro M. Gorky, in una sala unica al mondo, costruita sotto terra e con l’ingresso da un'abitazione nobile del Seicento in mattoni rossi che finge un palco centrale. A distanza di tanti anni, l’allestimento è cambiato e non sappiamo esattamente come; la versione d’oggi ha i suoi pregi e difetti che non sono pochi: il palcoscenico dell’Helikon è troppo poco profondo per un’opera decisamente monumentale il che condiziona i movimenti scenici, spesso frontali; la regia non va oltre l’estetica di un concerto in costume e alcune soluzioni destano un largo sorriso, come discutibili sono le prestazioni di alcuni cantanti.
La prestazione del cast che abbiamo ascoltato è stata interessante, disomogenea e emozionante, in piena armonia con l’allestimento; accanto ai cantanti di buon livello europeo, si sono presentati gli artisti discutibili. Stanislav Švec quale Zaccaria, senza dubbio, ha dominato la serata. Il basso di Ekaterinburg vanta un fantastico curriculum; si è esibito in moltissimi teatri e festival europei. Ha sfoggiato una voce ampia, limpida, vellutata e consolante, se così si può dire, e ha disegnato un Zaccaria nobile, maestoso, ieratico e mai sopra le righe. Una grande prestazione, soprattutto per la perfetta padronanza dello stile del primo Verdi.
Non è stato male Mikhail Nikanorov nel ruolo del titolo; in possesso di una buona voce, presenza scenica e un certo carisma, ha creato un personaggio convincente e di una certa caratura. Ha colorato il re di Babilonia di tante sfumature mai cadendo nell’esagerazione e felicemente evitando tratti caricaturali. Simile a Švec, ha dimostrato padronanza dello stile, ma senza raggiungere una dovuta armonia. La voce importante a tratti è risultata legnosa e ci vorrebbe un lavoro più dettagliato sui colori e il fraseggio.
Note dolenti per Marina Karpecenko nei panni d'Abigaille. Dotata di uno strumento decisamente fuori dal comune, voce enorme, di evidente vocazione drammatica, una Birgit Nilsson alla russa, se così si può dire, ha cantato in modo fastidiosamente disomogeneo. Il buon cantabile non fa fatto perdonare l’incapacità di domare l'impervia scrittura verdiana, il bel colore spesso è svanito e ha ceduto il posto al sfumature biancastre sgradevoli, e non sono mancate autentiche urla. Ne è venuta fuori un'Abigaille piuttosto isterica se non squilibrata, anche se a tratti grandiosa. Abbiamo avuto l’impressione che la prestazione così incostante sia dovuta alla mancata tradizione d’esecuzione di Nabucco in Russia e che un buono e paziente coach avrebbe potuto domare il temperamento esagerato del soprano e farlo lavorare sulla linea del canto.
Di un bravo coach avrebbe bisogno anche Vitaly Serebryakov, Ismaele. La sua esibizione è stata una gradita sorpresa; Ismaele, pur interpretato dai tenori di calibro di Domingo e Lucchetti, rimane perennemente in ombra. Serebryakov, che vanta la storia tutta sua – per anni ha cantato da baritono nel prestigioso Coro da camera diretto da Vladimir Minin –, è attualmente passato con successo al repertorio tenorile. Siamo rimasti colpiti dalla sua bella presenza scenica: grazie alla nobiltà innata e alle doti attoriali, ha disegnato un personaggio degno di essere notato e, infine, amato da entrambe le figlie del re babilonese. Una bella figura, un volto affascinante, movenze naturali hanno attirato l’attenzione del pubblico verso di lui. Dobbiamo andare più cauti riguardo il suo canto: purtroppo, i registri sono disomogenei e la sicurezza e morbidezza delle note basse e medie sono ancora in un evidente contrasto con quelle alte, piuttosto affaticate e volte “sparate”.
Nella parte di Fenena, Irina Reynard è stata poco presente, ha disegnato la figlia di Nabucco simile a una dolce adolescente. Nell'unico assolo a lei concesso ha felicemente sfoggiato voce calda e ben timbrata.
Hanno completato il cast Tat’jana Bikmukhametova – Anna, Vadim Letunov – Abdallo e Dmitry Skorikov – il sommo sacerdote.
Sul podio, Evgheny Bražnik, direttore di lunga esperienza, ha fornito una lettura non del tutto convincente della prima perla verdiana. Ha tenuto con mano forte le redini ed è sembrato pienamente d’accordo con Gioachino Rossini che chiamò Verdi “un compositore col casco”; ha preferito tempi serrati (che sarebbe un vero guaio) e sonorità piuttosto pesanti. Ne è venuto fuori un Nabucco rustico, dinamico e esageratamente “militare”, decisamente poco lirico.
Questa mancanza è stata colmata dal coro dell’Helikon-opera, aitante e pienamente partecipe, capace di sfumature sottili, anche se i bravi artisti hanno qualcosa da imparare per quanto riguarda i colori e i pianissimi se si tratta del celeberrimo “Va’ pensiero”.
Alla fine, successo pieno e grandi applausi. Siamo felici che Nabucco abbia trovato casa anche nella capitale russa.