Una svolta, un futuro?
di Irina Sorokina
Ottimo cast, concertazione energica, un'ambientazione che, con qualche aggiustamento nella regia, potrebbe essere ripresa anche in tempi non pandemici: così Nabucco torna in scena all'Arena
Verona, 24 luglio 2021 - Con il nuovo allestimento di Nabucco verdiano in Arena di Verona stiamo, forse, assistendo ad una svolta. Per chi ha alle spalle una lunga militanza nell’anfiteatro veronese, è inevitabile percorrere con la mente la storia degli allestimenti di questo titolo popolarissimo che segue Aida. La lista dei ricorsi potrebbe destare una certa emozione: nel 1991, una produzione di stampo tradizionale di Gianfranco De Bosio con le scene di Rinaldo Olivieri, nel 2000, un innovativo allestimento di Hugo De Ana, una specie di sfida, con una grandiosa pedana inclinata color rame che creò dei problemi di carattere tecnico, nel 2007 una creazione piuttosto debole di Denis Krief, firmatario di scene, costumi e regia, dieci anni dopo, nel 2017, lo spettacolo interessante e contraddittorio di Arnaud Bernard con riferimenti alle Cinque Giornate di Milano, Nabucco trasformato nell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe e le scene di battaglia ispirate a dei quadri d’epoca. Lo scenografo Alessandro Camera aveva costruito sul palcoscenico areniano un Teatro alla Scala in dimensioni ridotte, e il ricordo dello spettatore finora si riferisce a quest’opera scenografica unica, decisamente capace di colpire l’immaginazione.
Nell’anno 2021 assistiamo inevitabilmente ad un allestimento nuovo, dovuto alla presenza nella nostra vita del Covid-19, quel virus maledetto che da un anno e mezzo ci toglie molte cose che amavamo tanto. Obbligo di indossare la mascherina anche all’aperto, misurare la temperatura, igienizzare le mani ma, soprattutto, evitare gli assembramenti che si creano inevitabilmente in fase del montaggio delle scene grandiose: addio, quindi, ai Nabucco complessi ideati da Hugo De Ana e da Arnaud Bernard. Al loro posto arriva l’allestimento collettivo, senza i nomi dello scenografo e del costumista, del regista e del light designer sulla locandina. La dicitura a cui siamo abituati oramai recita: "orchestra, coro, ballo e tecnici dell’Arena di Verona, nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona".
Spazzata via l’antica Babilonia, veniamo catapultati nell’epoca più drammatica del Novecento, i tempi del nazismo: un’idea tutt’altro che cattiva. Applicata a Nabucco può ottenere un buon successo; non stonano il re babilonese trasformato in un capo nazista, Abigaille in una delle donne di punta del regime e Zaccaria in uno dei capi ebrei. Il primo atto è ambientato in un campo di concentramento con le masse dei profughi disorientati osservati da sopra dall’esercito tedesco ed è molto efficace il riferimento al film di Leni Riefenstahl Olympia quando, sulla musica della marcia, le fanciulle del corpo di ballo areniano vestite di tuniche bianche allo scopo di valorizzare il loro fisico scolpito eseguono una serie di movimenti scattanti con i cerchi. Una grande tensione segna l’ultimo atto dedicato alla redenzione della “belva” tedesca che salva gli ebrei avviati alle camere a gas. Sull’imponente led wall scorrono immagini provenienti dal Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara, mentre gli elementi scenografici si limitano a delle scale, delle porte e delle balconate. Sono piuttosto scarsi gli interventi registici che costringono i personaggi principali a sistemarsi su queste strutture o andare su e giù e una grande massa di figuranti a muoversi in modo caotico.
Per quanto riguardi il cast, l’Arena di Verona presenta, orgogliosa, il meglio di meglio oggi ”sul mercato”, e grazie ad esso, lo spettacolo decolla e ottiene un grandioso successo. Nabucco, Amartuvshin Enkhbat; Abigaille, Anna Pirozzi; Zaccaria, Rafal Siwek sono circondati da bravissimi e collaudati comprimari. E poi, c’è lui, Daniel Oren, il più areniano del direttori, che induce a chiamare le recite da lui dirette “oreniane”.
Il baritono mongolo raccoglie larghi consensi dal momento della sua apparizione in parti importanti del repertorio verdiano, e non ne siamo meravigliati affatto. Ha tutte le carte in regola: alla fine, le belle voci, anche se meno importanti che una volta, nascono ancora, e sui palcoscenici dei teatri lirici del mondo civilizzato i bravi baritoni non mancano. Tuttavia Amartuvshin Enkhbat (tutti ormai abbiamo imparato a pronunciare il suo nome) ha colpito tempo fa e colpisce ancora: la voce dal colore leggermente chiaro è davvero bellissima, l’emissione è morbida e soprattutto la pronuncia è perfetta. In piena padronanza di stile e comprensione del testo, il baritono è capace di disegnare il personaggio attraverso la voce, anche se non possiamo per nulla negargli notevoli capacità attoriali. Ne viene fuori un Nabucco pressappoco perfetto, caratterizzato da moltissime sfumature e assolutamente credibile. Ottima anche la sua comunicazione con i partner: abbiamo davanti a noi un uomo di teatro completo.
Accanto a lui, un’Abigaille di lusso, Anna Pirozzi: abbiamo già avuto numerose occasioni di ammirare la sua voce e il suo modo di gestirla. Affronta senza batter ciglio l’impervia scrittura della parte della figlia "schiava" di Nabucco: nulla le crea problemi, né i cambi dei registri, né le colorature d'utentica carica drammatica. La voce ampia accusa una certa tensione il che, comunque, giova al personaggio rendendo questa Abigaille bionda col cappotto antracite ancora più superba e scatenata.
Abbiamo già ascoltato Rafal Siwek nella parte di Zaccaria negli anni passati: lo smalto della voce è intatto come intatti sono lo spirito sublime e ieratico del suo capo degli ebrei imprigionati. La disinvoltura nel canto e l’arte di recitazione gli appartengono; il suo Zaccaria è un condottiero carismatico che fa ascoltare la propria voce dovunque si trovi.
Non convince del tutto l'Ismaele di Samuele Simoncini: la voce è ben timbrata e brillante e lo spirito del personaggio lacerato tra il dovere e l’amore viene colto perfettamente, tuttavia il fervore del tenore ci sembra esagerato e alcune imprecisioni non passano inosservate.
Perfetta Teresa Iervolino quale Fenena: la voce dal timbro interessante e dai colori mutevoli, una musicalità eminente e un modo di cantare estremamente comunicativo vanno dritto al cuore di chi l’ascolta.
Bravissimi tutti gli interpreti dei ruoli di contorno, ben collaudati e molto partecipi: l’espressione “comprimari di lusso” non sarebbe esagerata quando si tratta di Romano Dal Zovo, Gran Sacerdore di Belo, Carlo Bosi, Abdallo, ed Elisabetta Zizzo, Anna.
Il sempre brillantissimo coro dell’Arena preparato da Vito Lombardi trasforma l’opera verdiana in una festa per le orecchie, preciso musicalmente e sempre ispirato. Il Covid non può annullare il bis di “Va’ pensiero” che ammalia per il perfetto cantabile, i piani e i pianissimi raffinati.
La ciliegina su questa torta piuttosto elaborata chiamata Nabucco è, senza dubbio, Daniel Oren, che grazie al suo carisma e a una maestria tutta sua evita le difficoltà legate ai nuovi allestimenti del 2021, col un grande ensemble di figuranti sul palcoscenico e il coro disposto sulle gradinate dalla parte sinistra. Ce lo mette davvero tutta, Oren: dirige con uno slancio visibile fisicamente e riesce evitare i problemi nel cantare e nel suonare insieme, tipici per questa stagione. Autorevolezza, forza e capacità di valorizzare tutti i gruppi di strumenti confermano il suo titolo del più “areniano” dei direttori.
Alla fine, successo pieno con le numerose ovazioni per cantanti e per Daniel Oren. Una serata bellissima e indimenticabile che fa venire in mente una domanda: sistemato un po’, potrebbe questa versione scenica di Nabucco essere replicata nelle stagioni a venire? In fin dei conti, è primo tentativo di ambientare l’opera verdiana in un epoca non lontana dal nostro tempo. E non è male.