Vittoria, vittoria!
di Irina Sorokina
La prova eccezionale di Anna Netrebko e Yusif Eyvazov, la Liù di Ruth Iniesta e la concertazione di Jader Bignamini scatenano meritate ovazioni per Turandot all'Arena di Verona
Verona, 1° agosto 2021 - Con questa Turandot, che ha debuttato il 29 luglio, la Fondazione Arena può brindare con un ottimo champagne. Se la messa in scena del capolavoro postumo di Puccini è stata una sfida, possiamo constatare una vittoria e brindare anche noi, melomani, giornalisti, turisti. Un cocktail perfetto in cui tutti gli ingredienti sono stati scelti con cura senza spendere troppo, mescolati bene e senza far mancare sul bastoncino nel bicchiere due cose davvero preziose, in questo caso: la coppia degli interpreti dei ruoli principali. Ma andiamo per ordine.
La stagione tanto difficile e ardita del 2021, nei tempi difficili del coronavirus, sta offrendo i buoni allestimenti puntando sulle scenografie digitali di D-Wok in collaborazione con i musei importanti italiani, sull’uso di costumi provenienti dai ricchissimi magazzini dell’Arena, su cast scelti con attenzione. Su qualcuno aveva dei dubbi, piano piano si stanno sciogliendosi, e con Turandot, il sesto titolo sul cartellone, potrebbero sciogliersi definitivamente.
L’allestimento - che, come tutti gli altri, è una specie di collage fatto sulla grande led wall (parola entrata nel nostro linguaggio definitivamente ormai) dove scorrono le immagini, nel caso di Turandot provenienti dal Museo d’Arte Cinese ed Etnografico di Parma, alcuni elementi scenografici tradizionali e costumi colorati, tradizionali pure questi - risulta capace di coinvolgere lo spettatore. Non nasconde il suo aspetto fiabesco, gioca molto su colori sgargianti e luci a volte abbaglianti, a volte sfumate. La definizione “tradizionale” applicata a questa Turandot assume un significato estremamente positivo, l’allestimento è lineare e molto chiaro, popolato da figuranti e mimi, ma non troppo affollato, i caratteri dei personaggi e i rapporti tra loro ben definiti. L’occhio gioisce parecchio, ma quel che fa tutto esaurito è sicuramente una coppia celebre in vita e sul palcoscenico, Anna Netrebko e Yusif Eyvazov: la loro prestazione illumina i volti e accende i sensi di chinque sia seduto sulle poltrone non proprio comode, poiché si tratta non soltanto dell’arte vocale all’apice, ma della capacità di trasmettere passione.
Anna Netrebko spesso viene definita “diva”: se qualcuno avesse avuto dei dubbi prima della Turandot areniana, si è dovuto arrendere. Il soprano russo lo è, non soltanto per la qualità della voce, solida, ampia, vellutata e ben timbrata, ma per la capacità di trasmettere la passione, di raccontare il dramma soltanto attraverso il proprio strumento. La sua Turandot, dapprima regale ed ermetica, accenna alla passionalità che fiorirà piano piano grazie all’amore di Calaf. In “In questa reggia” La linea di canto è sempre sicura, i filati dettati dall’espressività. Se capita qualche passaggio che pecca di una certa opacità, glielo si perdona subito. La scena degli enigmi rivela l’inclinazione al canto autenticamente drammatico. È lontanissima, l’Anna nazionale e non solo, dal disegnare un personaggio conosciuto, “la principessa di gelo”: la sua Turandot è estremamente umana e elencare tutte le sue sfumature sarebbe stato un compito arduo. Il pubblico le vive tutte sulla propria pelle ascoltando il duetto finale.
Accanto a lei, Yusif Eyvazov, compagno di vita e percorsi artistici della Netrebko. Pure lui è eccezionale, soprattutto se si prende in considerazione che al cantante azero la natura non ha fatto un dono così generoso come ad Anna per quanto riguarda la qualità del timbro e la lucentezza naturale di voce. Quel che sentiamo adesso, è frutto di un impegno gigantesco, di un lavoro certosino che abbiamo avuto la possibilità di seguire dal vivo. Il risultato è un Calaf che rimane impresso nel cuore (senza dimenticare Corelli e Domingo), personaggio umanissimo dalle mille sfaccettature, sensibile e trepidante che educa all’amore, se così si può dire. Non solo l’emissione e l’accento sono pensati, sono elaborate anche le movenze. Miete un successo nell’atteso “Nessun dorma” in cui incanta per il legato, le mezze voci e la dinamica letteralmente perfetta nel crescendo generale; il si ha una durata importante e non rivela fatica.
Parole d’ammirazione vanno a Ruth Iniesta creatrice di una Liù dal volto particolare, indimenticabile. La cantante spagnola vanta una voce vellutata e naturale che trasmette serenità e devozione ed è in possesso di una musicalità impeccabile. La linea di canto sempre armoniosa in respiri e sospiri comunica le sfumature sottilissime del declamato pucciniano. Forse, ci vorrebbe un volume un po’ più grande per gli spazi areniani, ma quando l’Iniesta arriva a “Tu che di gel sei cinta” canta con grinta notevole e scuote davvero le anime.
Carlo Bosi è un Altoum impeccabile per timbro, dizione e accento e Riccardo Fassi è un Timur nobile dalla voce morbida in equilibrio tra note drammatiche e consolanti. Gli interpreti dei tre ministri (Alexey Lavrov, Marcello Nardis e Francesco Pittari) recitano e cantano con gusto e creano una notevole complicità. Completano il cast Mandarino di Viktor Shevchenko e Principe di Persia di Riccardo Rados.
La direzione sicura e brillante nonché piena di lirismo di Jader Bignamini soffre meno i problemi accusati negli spettacoli che abbiamo visto prima, eppure il suo compito è ancora più complicato: dirigere l’orchestra, il coro disposto sulla gradinata di destra e quello di voci bianche sul lato opposto. Riesce a ottenere una gamma di colori molto varia, sostenere un ritmo serrato e dare il giusto respiro agli sfoghi lirici tipicamente pucciniani. Molto partecipe e grintoso il coro preparato da Vito Lombardi, piacevoli e musicali i ragazzi del Coro di Voci bianche A.d’A.MUS. diretto da Marco Tonini.
Un successo davvero grandioso pienamente meritato e ovazioni autentiche per tutti.