Una gran festa fa preparar
di Roberta Pedrotti
Il Don Giovanni proposto dall'Orchestra Senzaspine al Teatro Duse si guadagna un bel successo per la combinazione di entusiasmo e competenze. Il progetto di un'opera inclusiva ha fra i punti di forza anche la partecipazione di Simone Alberghini come protagonista catalizzatore di un cast di giovani.
BOLOGNA, 6 e 7 novembre 2021 - Per il melomane (quello vero, non quello da tastiera) il teatro è una seconda casa, talvolta anche una prima. Invece, per buona parte di un pubblico generalista anche potenzialmente interessato, le sedi delle fondazioni liriche e dei teatri di tradizione incutono una certa soggezione. Non importa se si attuano offerte, se ci sono diverse fasce di prezzo, se non tutte le serate sono di gran gala: “quanto costa? Come mi vesto? Come devo comportarmi?” sono domande frequenti che per qualcuno possono diventare un ostacolo. Lo sappiamo, sono spesso inutili precauzioni, ma non sempre è facile raccontarlo. Così, siamo ancor più felici quando vediamo il ghiaccio rotto e una sala teatrale normalmente non consacrata all'opera – il Teatro Duse – affollatissima di un pubblico anche vergine e curioso, spontaneo nel reagire e commentare. Una ventata d'aria fresca anche per chi vive di pane e opera.
Stiamo parlando del Don Giovanni allestito dall'Orchestra Senzaspine, ritorno a Mozart e Da Ponte dopo Le nozze di Figaro del 2019 [Bologna, Le nozze di Figaro, 04/10/2019 e Bologna, Le nozze di Figaro, 06/10/2019], produzione progettata e portata avanti fra aperture a singhiozzo e dubbi sulle capienze, ancor più difficile e meritevole, dunque. Per di più, la situazione sembra aver ispirato un impegno maggiore non solo per la rappresentazione in sé, non solo per il coinvolgimento di un pubblico diverso dal solito, ma anche verso fasce più ampie. Progetti e laboratori di cui avevamo in parte raccontato culminano in un'opera pensata per diverse percezioni sensoriali, inclusiva nel vero senso della parola e non solo per usare un termine alla moda. Il libretto di sala e i sopratitoli sono ad alta leggibilità per ipovedenti, nel foyer ci sono i testi in braille, modellini, campioni di tessuto, bozzetti per aiutare chi deve anche toccare per capire, oppure semplicemente chi non sa e vuole comprendere meglio, chi sa e può scoprire altre prospettive. Il rapporto è bilaterale, perché nella stessa azione teatrale si integrano gesti presi dal linguaggio dei segni, gesti che ora costituiscono un sottotesto, ora si integrano in modo quasi impercettibile con le naturali movenze, ora sembrano una coreografia espressiva. Perché, sì, il LIS è un linguaggio espressivo, teatralissimo nella sua fisicità e il suo sfruttamento anche in ambito musicale è un territorio che merita di essere esplorato. Giovanni Dispenza lo fa bene, conferma di aver gusto, senso pratico, di saper sfruttare al meglio risorse limitate con un'azione chiara, fluida, ben integrata con un gioco di proiezioni (di Daniele Poli e Serena Pantaleo) che illustra, suggerisce, dà dinamicità, ma non soverchia. E piace che le fiamme dell'inferno che inghiottono Don Giovanni siano onde dai colori freddi, verdi lividi e acquatici, il gelo e i vortici prevalgono sul foco.
L'orchestra, che nasce da un progetto che poteva apparire semiamatoriale, ha saputo in questi anni crescere in qualità e ambizioni mantenendo leggerezza di spirito: il risultato si vede e si sente. Un'orchestra giovanile che propone uno dei massimi capolavori della storia? Non si è fatto il passo più lungo della gamba, con le collaborazioni giuste e un entusiasmo contagioso, la produzione diretta da Tommaso Ussardi non solo va in porto sicura, ma diverte anche.
I cantanti che si alternano nelle tre recite sono tutti giovani, alcuni giovanissimi e alle prime armi, altri già più rodati. Giusto così: sana e sacrosanta gavetta. E poi c'è l'ospite d'onore: Simone Alberghini, generoso ed energico, fa da guida e catalizzatore per due recite nei panni del protagonista. Don Giovanni è cosa sua, il personaggio sembra gli sia cucito addosso per comunicativa, carattere, intenzioni. In questo caso si trova a infondere nei colleghi meno esperti quello spirito che fa prendere il volo allo spettacolo. Giovani ma non sconosciuti sono Patrizio La Placa, che conferma in Leporello buone qualità già apprezzate, e Dave Monaco, Don Ottavio di bella voce e giusto rilievo. Con loro si alternano Masashi Tomosugi (a cui va reso merito per lo straordinario impegno nell'articolazione italiana) e, in sostituzione del previsto Gianluca Moro, sopraggiunge il maturo Filippo Pina Castiglioni. Davide Peroni è Don Giovanni per una sera, mentre Paolo Marchini, Masetto, affronta tutte le recite, così come l'altra guest star della produzione, il basso bolognese Luca Gallo, autorevole Commendatore. Insieme con Alberghini abbiamo anche la Donna Anna dalla voce piena, e forse incline a un repertorio più lirico che virtuosistico, di Melissa Purnell, la Donna Elvira squillante di Francesca Cucuzza (se riuscirà a tenere sempre sotto controllo i suoi armonici potrà dare belle soddisfazioni), la fresca Zerlina di Floriana Cicio. Sabato 6, invece, si erano ascoltate Ilaria Casai, Donna Anna leggera e puntuale, Clementina Regina, Donna Elvira, Stela Dicusara, Zerlina. Alla prima del 5 novembre Zerlina era stata Eva Macaggi, già ascoltata in vesti più alternative nella MozartFest di settembre [Bologna, MozartFest, 19/09/2021].
La locandina è fitta fitta di nomi che si uniscono in un ottimo lavoro di squadra. Fra tanti si citino almeno il coro femminile Officina Musicae e il coro maschile Komos [qui tutti i nomi e le collaborazioni].
In una bella atmosfera di festa, fra applausi e ripetute chiamate anche per l'orchestra tutta in proscenio si respira il ritorno in teatro di un'opera per tutti, come recita il programma di sala. D'altra parte, un Grande che non c'è più ma sarà sempre con noi diceva che “non c'è bisogno di essere istruiti per essere toccati, commossi ed eccitati dall'opera".