Tecnica e interpretazione fra antico e moderno
di Mario Tedeschi Turco
Yuja Wang fa tappa a Verona con la Mahler Chamber Orchestra e ribadisce la classe di un'infallibilità tecnica sempre al servizio di una lucida e coerente idea interpretativa.
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VERONA, 23 settembre 2021 - Con programmi tra antico e moderno, la tournée della Mahler Chamber Orchestra con Yuja Wang ha raggiunto “Il settembre dell’Accademia” al Filarmonico di Verona, dopo Merano, Bologna e Udine. Nella città scaligera, l’impaginato proponeva la Sinfonia n. 31 di Haydn, il Concerto BWV 1056di Bach, l’Ottetto per strumenti a fiato di Stravinskij e il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 di Šostakóvič, dando così l’occasione di poter ampiamente saggiare la qualità eccezionale dell’ensemble fondato da Claudio Abbado nel 1997. Qualità ed eclettismo, naturalmente, con esecuzioni di trasparenza e brillantezza rilevate nonostante le opzioni stilistiche così diverse da restituire. Lo Haydn del 1765, com’è noto, si trovò a disposizione un’orchestra con quattro corni, e la sua scrittura ebbe modo così di misurarsi con un’intenzionalità sonora diversa, ancora con strumenti solisti in modalità concerto grosso o divertimento, eppure con un’epica di caccia e fanfare non lontana dalla sensibilità sturmer ancora a venire. Il concertatore Matthew Truscott ha guidato la MCO trovando nitore, timing perfetto, gli archi moderni senza vibrato e con le arcate strette e al centro come da prassi restituta ma potendo contare ovviamente su volumi e spazio sonoro del tutto diversi, che a parer nostro, in teatri grandi, rappresentano l’opzione interpretativa migliore per questo genere di composizione.
Volume e spazio sono le categorie che meglio rappresentano anche la qualità del pianismo di Yuja Wang nel Bach scelto, il cui maggior pregio è stato l’equilibrio delle parti (14 strumentisti in tutto, più il pianoforte), e quindi il bilanciamento fonico. Il gioco puramente digitale di Wang ne è stato esaltato, l’uso minimo del pedale di risonanza del pari, e la trasparenza delle linee è risuonata ovunque nitida quando non addirittura analitica, e particolarmente intensa nel Largo centrale, risolto senza sentimentalismi eppure con un rilievo nel canto di opportuna, memorabile compostezza. Non il Bach ideale, e tanto meno quello che storicamente abbia più senso, ma certo unBach possibile quale trasposizione rivissuta oggi.
L’Ottetto di Stravinskij della MCO ha messo in luce il valore assoluto degli strumentisti. Eric Walter White ha sottolineato come questo lunare capolavoro stravinskiano, composto tra il 1922 e il 1923, segni «la riscoperta della forma-sonata [dove] ripetizione e imitazione sono utilizzate consapevolmente come elementi di simmetria, equilibrio e contrasto nel disegno formale». E tale disegno è giunto tutto intero nell’esecuzione, ancora una volta perfettamente controllata nell’escursione dinamica, così che il gioco delle variazioni, soprattutto, si è animato ad un tempo di bagliori e oscurità in un diagramma espressivo mobile, freddo e tagliente eppure aperto anche alle improvvise, trasognate dolcezze del flauto e del clarinetto. Una grande interpretazione.
Gran finale con il Concerto di Šostakóvič, in cui Wang ha mostrato il meglio di sé. Che non sta solamente nella tecnica trascendentale, come troppe volte si legge (chissà perché la vulgata per i musicisti asiatici dev’esser sempre “tanto virtuosismo ma poco cuore”, equivalente semidotto del calcistico “molta tecnica ma non ha visione di gioco”): il controllo tecnico per Wang è il mezzo dell’espressione, che è finissima, infinitamente varia, fluida, perfettamente appropriata alla forma. Il Concerto in questione pone un problema enorme al solista, il quale deve certamente tendere allo spasimo la destrezza, specie nel finale, ma allo stesso tempo trovare il canto, diresti il concetto stesso del decorso orizzontale delle frequenze, il suo senso logico. Non c’è stato un attimo, nell’interpretazione, in cui la pianista abbia perso la linea fondante quella logica, vuoi nello sviluppo degli accordi paralleli, vuoi nel dialogo con l’orchestra, o ancora nella fantasia iperromantica del movimento lento, in cui la tenerezza lirica plasmata dalla melodia ha ricevuto un bellissimo risalto poetico, realizzato – ancora una volta - grazie al calcolo perfetto del peso dinamico delle frasi, delle semifrasi, degli accenti. Interpretazione coerente e compiuta, dunque, contesta insieme di bravura e fantasia, competenza di lettura testuale e apporto personale fatto di energia cinetica quanto di introspezione lirica.
Pubblico entusiasta e tre bis, il primo dei quali, l’arrangiamento/parafrasi di Tea for Two di Youmans, ha fatto sentire anche un’altra dote della musicista, lo swing, certo poco idiomatico ma offerto con grande eleganza, leggerezza, sense of humor.Con queste doti a 34 anni, se non si farà fagocitare dal divismo fine a se stesso, per la pianista di Pechino il meglio deve ancora venire.