Cinquanta sfumature di Francia
di Alberto Ponti
Il dialogo a distanza tra i classici brani di Fauré e i recenti esperimenti di Delplace premia la sensibilità fuori dal comune di un interprete di gran classe
TORINO, 20 settembre 2021 - Gabriel Fauré (1845-1924) può essere paragonato a quei pittori o artisti figurativi di cui si dice un gran bene, che critici ed esperti considerano cruciali nella storia dell’arte e che il grande pubblico definisce una ‘scoperta’ ogni volta che viene organizzata una loro mostra ma le cui quotazioni di mercato, alla fine, rimangono basse rispetto ad altri nomi e non decollano mai.
Così, passando al campo musicale, avviene per questo compositore di primissimo livello, la cui produzione mostra sempre il marchio dell’originalità e del genio. Eppure, ad eccezione del suo Requiem, unico pezzo ad avere acquistato popolarità universale, e ad una manciata di melodie, il nome di Fauré fatica oggi come ieri ad imporsi nei programmi concertistici al di fuori della Francia. Non solo nel campo delle opere liriche e orchestrali, in fondo poche di numero, ma anche in quello della musica cameristica e per pianoforte solo, ben più cospicua e in cui sono da ricercarsi le sue prove migliori e gli esiti più elevati.
L’apertura di molti concerti verso repertori meno consolidati, da sempre un marchio di fabbrica di MiTo Settembre Musica, ha raggiunto uno dei momenti di maggior emozione nel bel concerto del pianista d’oltralpe Lucas Debargue, classe 1990, nome diventato di risonanza internazionale dopo la vittoria al concorso Čajkovskij di Mosca nel 2015. L’impaginato del recital prevedeva brani di Fauré alternati ad una serie di preludi e fughe del conterraneo Stéphane Delplace (1953). Di impianto tradizionalmente tonale, pur arricchito da una sensibilità armonica di squisito sapore contemporaneo, i trenta pezzi composti da Delplace si riallacciano in modo ideale ai lavori analoghi dei grandi autori del passato, da Bach a Šostakóvič.
L’interpretazione di Debargue, che si caratterizza per pulizia e precisione, fa risaltare un curioso paradosso: Delplace suona più tradizionale di quanto composto oltre un secolo prima. È un piccolo assaggio quello riservato alla platea del Conservatorio: i quattro preludi non superano ciascuno i tre minuti di durata e di uno solo è stata proposta la successiva fuga. Ciò non toglie che la produzione del maestro originario di Bordeaux, in massima parte pianistica e organistica, vada indagata in profondità per una cifra stilistica assai personale, ricca di ingegno costruttivo e capace di parlare direttamente all’animo dell’ascoltatore odierno.
In Fauré Debargue si trova su un terreno di affinità elettiva con un tocco di notevole sensibilità, delicato e sfaccettato, cogliendo nel segno quando si tratta di valorizzare le minime sfumature di una tavolozza timbrica infinita e iridescente. E’ il caso dell’inquieta e liquida Barcarolle n. 3 in sol bemolle maggiore op. 42 (1885) e della successiva Barcarolle
Cuore della serata è l’ampia e virtuosistica Ballade op. 19 in fa diesis maggiore (1881). Leggenda vuole che, presentatagli da Fauré stesso, avesse molto colpito Franz Liszt. Applaudita a lungo da un pubblico attento a non lasciarsi scappare nemmeno una nota, l’esecuzione del giovane solista emerge per maturità, per capacità di mettere a fuoco tutte le sfaccettature della scrittura senza perdere di vista la possente arcata della composizione, a partire dal sinuoso tema subito esposto e in tutte le seguenti complesse elaborazioni, mantenendo una spiccata cantabilità negli impressionanti raddoppi d’ottava nell’episodio centrale e nella ripresa.
Seguono il drammatico e oscuro Notturno n. 7 in do diesis minore op. 74 (1898), dagli esiti quasi alla Skrjabin e la vivacità ritmica dell’arguto Valse caprice n. 1 in la maggiore op. 30 (1882).
Entusiasmo alle stelle nei confronti di autori che vorremmo ascoltare più spesso dal vivo e di un interprete che invece ci auguriamo di rivedere presto sotto la Mole.