Natale in Gloria
di Luigi Raso
Con il pubblico in sala, Juraj Valčuha offre al San Carlo un concerto di Natale all'insegna del Novecento neoclassico. Splendono il coro preparato da José Luis Basso e il soprano Lauren Michelle nel Gloria di Poulenc.
NAPOLI, 18 dicembre 2021 - Ricordiamo, apprezzammo e recensimmo (leggi la recensione) il Concerto di Natale dello scorso anno: interessante per il programma proposto, per l’ottima prova dell’Orchestra e del suo direttore Juraj Valčuha; ma... fu un concerto trasmesso in streaming sul sito MYmovies.it, quindi asettico, privato del contorno di gioia che si addice ad ogni concerto delle festività natalizie. Osservare attraverso lo schermo il teatro desolatamente vuoto, la sua platea, la panoramica sui palchi, non poter percepire il contatto con i musicisti e con il pubblico fece scendere su di noi un fitto velo di tristezza. Lo scorso anno, proprio in questi stessi giorni, eravamo in zona “rossa”, con teatri, cinema e tanto altro chiuso. Né si intravedeva, allora, uno spiraglio per la riapertura.
Il clima ora è fortunatamente migliore: dopo un anno ci ritroviamo insieme al San Carlo in un’atmosfera “quasi normale” prefestiva, se non fossero le mascherine che indossiamo a ricordarci di continuare ad essere prudenti. Ciò che non è cambiato rispetto allo scorso anno è la qualità della performance musicale e l’interesse delle proposte musicali, mai scontate, scelte per questo tipo di evento musicale: il filo conduttore di questo concerto natalizio è infatti la musica del ‘900, del nostro (o, almeno, per gran parte di noi) secolo, in questa occasione declinata secondo l’estetica del neoclassicismo. Programma imperniato su autori – Maurice Ravel, Sergej Prokof’ev e Francis Poulenc – che hanno attinto dall’ideale della “classicità” forme, stilemi e poetiche da suggerire e riproporre al presente, in una fase storica tribolata. Tornare all’antico per indicare una strada, meno tortuosa, per il futuro. Rappresentò un ideale; e sappiamo com’è andata.
È tutta imperniata sul raffinatissimo descrittivismo orchestrale Ma mère l'oye, suite orchestrale (1912) di Maurice Ravel: “..non c'è nulla che la musica non possa fare o tentare o descrivere, purché continui ad affascinare e ad essere sempre musica”, affermava il compositore francese in una dichiarazione sulla propria poetica musicale. Nel passaggio dall’originaria versione per pianoforte a quattro mani (del 1908) a quella orchestrale, Ravel, finissimo orchestratore, arricchisce ancor più di atmosfere fiabesche lo spartito per l’amato pianoforte, infondendo alla partitura un senso diffuso di grazia, leggerezza e, soprattutto, atmosfere orchestrali trasognate, dei veri e propri bozzetti sonori intimi e raccolti. Orchestrazione e poetica che costituiscono suggerimenti perfetti per Juraj Valčuha e l’Orchestra del San Carlo, i quali, in perfetta simbiosi tra loro, firmano un’esecuzione strabiliante per tenuta complessiva, cura dei dettagli, bellezza e smagliante evanescenza sonora.
Sin dalla iniziale Pavane de la belle au bois dormant riascoltiamo la conferma della natura cameristica della partitura di Ravel: l’ordito orchestrale, con la tenue tarsia musicale tra gli strumenti, diventa trasparente, fino a diventare avvolgente, come il velluto degli archi. La ricerca di timbri evanescenti, la chiarezza espositiva orchestrale, così come dello scintillio strumentale (Laideronnette, impératrice des pagodes) sono una costante dell’esecuzione dell’intero brano, condotto da Valčuha procedendo con una scelta di tempi appropriata e impreziosita dal ricorso a una dinamica mobilissima e dall’apporto “cameristico” delle sempre precise prime parti dell’Orchestra.
Una raffinata serie di suggestioni musicali e poetici, questa esecuzione di Ma mère l'oye, che costituiscono il ponte con atmosfere e mondi lontani – sublime e perfettamente resa quello dell’Oriente in Laideronnette, Impératrice des Pagodes - così come quello, costruito sul lento crescendo, di Le jardin féerique.
L'esecuzione fa della pulizia e del fine tocco di cesello le proprie bussole esecutive. Orchestra e prime parte procedono come “per sottrazione”: si ha la sensazione che la pulizia dell’esecuzione faccia emergere spontaneamente tutte le meraviglie strumentali e armonici di cui la partitura di Ravel è ricca.
Sono il Walzer e la Mazurka, danze seppur deformate dall’ironia e dal sarcasmo proprio di Prokof’ev, gli strumenti attraverso i quali, anche con la Suite n. 1 dal balletto Cenerentola, op. 107, il musicista russo si appropria dell’ideale classicista: se nel precedente brano proposto, Ma mère l'oye, a dominare erano suggestioni ed evocazioni timbriche, nella suite dal balletto Cenerentola assistiamo a un radicale cambio nell’approccio: deciso, corrosivo, con sonorità sferzanti, tagliente. Il gesto di Valčuha infatti “taglia” la musica, si impone sull'orchestra più visibilmente, mentre in Ravel suggeriva e chiedeva.
L’orchestra, sempre scintillante per luminosità e precisione, sorprende per la versatilità con la quale affronta nella stessa serata mondi musicale così eterogenei tra loro e, all’interno della stessa Suite di Prokof’ev, per l’appropriatezza e la precisione con la quale vengono affrontati brani tra di loro diversi, come, ad esempio, la brumosa Introduzione - Andante dolce e le successive, così diverse nella temperie sonora, Danza dello scialle, Mazurka, Walzer di Cenerentola: ad ogni pezzo viene conferito il giusto peso sonoro, il più appropriato colore orchestrale, il giusto risalto agli strumenti che sostengono il basso dell’armonia e al lavorio delle percussioni.
L’entusiasmo, pur comprensibile, del pubblico è tale che lo porta ad applaudire, purtroppo, tra un brano e l’altro..
La seconda parte del concerto è dedicata a un capolavoro della musica sacra del ‘900, il Gloria (composto nel 1959 ed eseguito nel 1961) per soprano, coro e orchestra di Francis Poulenc. Dallo spirito totalmente parigino, cartesiano, Poulenc esprime nel suo Gloria una religiosità che non rinuncia minimamente alla razionalità: una religiosità intima, lontana dalle certezze trionfanti dei dogmi. E questa concezione si riflette in questa sublime pagina di musica sacra che recupera con asciuttezza ed essenzialità stilemi del passato.
Il Gloria vede la partecipazione del soprano statunitense Lauren Michelle, in possesso di voce dal timbro bello al pari della figura: una voce celestiale, immacolata per purezza timbrica, ben proiettata, liricissima, che plana con disinvoltura sul paesaggio sonoro disegnato dall’orchestra e coro nel conclusivo Tu solus Altissimus Jesu Christe. La Michelle padroneggia con disinvoltura gli ostici intervalli di cui è disseminata la propria parte vocale (Domine fili unigenite Jesu Christe); intensa nella sua compostezza nel Domine Deus, laMichelle si dimostra interprete misurata, fine cesellatrice nel fraseggio.
Una prestazione, quella di Lauren Michelle, debuttante al San Carlo, da ricordare e incorniciare.
Sul coro si regge gran parte del Gloria di Poulenc: quello del San Carlo, diretto da José Luis Basso, dopo l’eccezionale prova del recente Otello (leggi la recensionele) dà ancora una volta prova di estrema versatilità e precisione nell’affrontare repertori tra loro tanto diversi e in un ristrettissimo arco temporale. Tra i vari punti di forza, si segnalano il perfetto equilibrio dei pesi sonori tra le varie corde, la varietà coloristica del suono, che, evanescente e perfettamente integrato con quello orchestrale, avvolge la magnifica voce della Michelle nel sublime Tu solus Altissimus Jesu Christe, cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris Amen. Ma il Coro dimostra di saper perfettamente calibrare dinamiche, di creare atmosfere sospese, dipinte ad acquerello; ma, allo stesso tempo, non mancano le esplosioni compatte e poderose (ad esempio, Miserere nobis a conclusione del Qui sedes ad dexteram Patris).
Juraj Valčuha dal podio più che dirigere sembra benedire la struttura sonora del Gloria di Poulenc, optando per una lettura raccolta, rigorosa, aliena dall’esteriorità: la struggente bellezza e intensità della partitura, così immediata, sembra che traluca ancor più laddove il direttore tenda a “nascondersi”, limitandosi ad accarezzare un’orchestra ispiratissima, duttile nelle sonorità, sempre pronta, in tutte le sezioni, a tradurre in intensità emotive le indicazioni dinamiche.
E dopo l’Amen conclusivo il pubblico appare stregato nel suo composto silenzio: l’applauso parte soltanto quando Valčuha ha abbassato il braccio destro; poi, tantissimi e prolungati applausi tributano il meritatissimo successo a un concerto entusiasmante.
Valčuha riceve, quasi sorpreso ma visibilmente soddisfatto e felice, un omaggio floreale da un’affezionata ammiratrice: lo mostra a tutta l’orchestra, condividendo il dono. Si continua ad applaudire, felici di aver assistito di nuovo a teatro al Concerto di Natale.
Buon Natale a tutti!