Danza sul confine delle ombre
di Roberta Pedrotti
R. Strauss
Elektra
Herlitzius, Meier, Pieczonka, Petrenko, Randle
direttore Esa-Pekka Salonen
regia Patrice Chéreau
Festival di Aix en Provence, luglio 2013
DVD Bel Air BAC110, 2014
[Leggi la recensione della recita alla Scala di Milano, il 24/05/2014]
Per comprendere cosa significhi fare veramente teatro e perché Patrice Chéreau ne è stato un maestro questo DVD val più di mille parole. Ma non si tratta solo di un manifesto di regia e mise en scène, bensì soprattutto di un modello folgorante d'unità artistica e di tragedia in musica.
Che, in tal senso, l'Elektra di Strauss sia di per sé uno dei massimi capolavori non è certo un mistero, ma proprio nel caso di simili vertici creativi il passaggio dalla perfezione ideale alla realizzazione pratica rischia di tradurre in atto solo parte di ciò che è presente in potenza sulla carta. Produzioni come questa, viceversa, dimostrano come si possano verificare casi miracolosi in cui ogni elemento trova perfetta collocazione, e reciproca relazione, affinché l'opera si riveli in tutto il suo splendore.
Il formidabile lavoro di Chéreau sulla recitazione potrebbe risultare dimidiato, o accademico, se non si disponesse di un cast di formidabili attori, così intimamente compresi, identificati nei rispettivi ruoli, perfino nella fisicità e nell'anagrafe. La lettura drammaturgica, così lucida e sottile, rimarrebbe bidimensionale se non si specchiasse nella concertazione di Esa-Pekka Salonen, la cui bacchetta fa risplendere perfino le ombre più oscure, delineando la tragedia in una sorta di magma adamantino, di materia traslucida nella quale si rifrangono tutte le gradazioni dell'abisso, delle tenebre, dell'incubo e della speranza, della luce agognata. Elektra è sorella di Salome, danza in una trasparenza dionisiaca, sublima in maniera prodigiosa la poderosa orchestrazione, e ne mantiene lo spessore, la forza, il colore. La scena neutra, geometrica, impersonale, tagliata nettamente dalle luci di Dominique Bruguière, trova una nuova dimensione, una vita inafferrabile, un'atmosfera morale nel volteggiare tagliente della bacchetta di Salonen.
Allo stesso modo il podio è stimolo, complice, punto di riferimento per voci che sono espressione inscindibile del dramma, del gesto, dello sguardo, dell'ombra e della luce.
Evelyn Herlitzius, con il suo fare borderline da ragazza interrotta per quasi due ore ci tiene soggiogati convincendoci che lei è Elektra e che non potremo avere altra Elektra all'infuori di lei. Allo stesso modo Waltraud Meier ci dà la sensazione di incontrare per la prima volta Klytämnestra, affine, si direbbe, alla splendida Jessica Lange degli ultimi anni nel suo elegantissimo degrado, nella sua femminilità screziata di durezza, malinconia, rimpianto, terrore, ferocia implacabile e sensualità appassita e ferita ma ancora pulsante, come il disperato aggrapparsi alla vita di un'anima inaridita. Chrisothemis è il terzo pannello di questo triplice ritratto femminile, è la sensualità sana, è la speranza, è la proiezione verso il futuro e Adrienne Pieczonka le dà corpo e concretezza senza rinunciare alla malcelata coscienza dell'oscurità senza scampo cui è destinata la stirpe di Atreo. Dicendo che René Pape, subentrato la scorsa primavera nella ripresa scaligera, gli è stato forse superiore, renderemo merito al basso di Dresda senza in nulla sminuire la prova di Mikhail Petrenko, un Orest solido, molteplice e sfuggente com'è giusto che sia, incarnazione dell'anelito ossessivo al ritorno di un principio maschile – padre, fratello, amante, sposo e re – usurpato dal debole, pretenzioso, ma per nulla caricaturale Aegisth di Tom Randle. Per gli altri interpreti, tutti, nessuno escluso, la definizione di superlativi non basta, non è precisa: sono semplicemente autentici, insostituibili, a partire dal sorpendente, allora ottantanovenne, Franz Mazura, Der Pfleger des Orest.
Molti sarebbero ancora gli elogi e gli spunti esegetici che lo spettacolo in sé ha ispirato e continua a ispirare, ma più di tutti è importante segnare un dato, ciò che distingue, cioè, questo DVD dalla pura e semplice documentazione di una produzione eccellente.
Abbiamo detto che il lavoro di Chéreau è un modello esemplare d'arte teatrale, e sul palcoscenico ha vita inafferrabile e soggiogante, ma grazie alla sapiente regia video di Stéphane Metge avvince non meno sullo schermo, senza perdere, anzi, una briciola del suo fascino, tale è l'intensità dei primi piani e dei dettagli che la telecamera, con gusto e intelligenza, ci consegna.
Non si può, poi, nascondere che i ventitré minuti di intervista (in francese con sottotitoli in inglese) al regista scomparso pochi mesi dopo suscitano una certa commozione, che non offusca comunque l'oggettivo valore delle sue parole.
La confezione in formato libro è raffinata e accattivante, i testi chiari, ben impaginati, con immagini ben scelte e soprattutto contenuti veramente interessanti, fra cui, soprattutto, gli articoli e la sinossi a cura dello stesso Chéreau, ovviamente a patto di leggere almeno l'inglese o il francese.
Nessun problema linguistico, invece, per l'opera. Per quanto si possa aver familiarità con il mito degli Atridi e con il capolavoro di Strauss, non conoscere il tedesco e non poter seguire esattamente il testo parola per parola è un limite non da poco, che nelle recenti riprese scaligere ha fatto patire tutta la scomodità di lettura dei videolibretti, così discreti quando se ne voglia fare a meno, così distraenti quando costringono il malcapitato spettatore non poliglotta a distogliere di continuo lo sguardo dalla scena. In questo caso i sottotitoli opzionali in tedesco, inglese, francese, italiano e spagnolo permetteranno a tutti di gustare e analizzare ancor più profondamente lo splendore di questa produzione. Perché uno spettacolo come questo merita di essere conosciuto e amato anche da chi non frequenta abitualmente Strauss e l'opera tedesca: difficile non rimanerne conquistati, impossibile non riconoscerne la grandezza.