Musica inglese
di Stefano Ceccarelli
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia organizza un concerto tutto di musica inglese. A dirigerlo è il maestro Antonio Pappano, che apre la serata, fra la commozione del pubblico, con un’esecuzione dell’inno ucraino. Il programma prevede musiche di Vaughan Williams, Britten e Elgar. Ad eseguire il Concerto per violino di Britten è Simone Lamsma.
ROMA, 25 marzo 2022 – Ad una ad una le persone in sala si sono alzate sotto le note dell’inno nazionale ucraino. È così che Antonio Pappano ha aperto lo scorso concerto all’Accademia, inviando un messaggio chiaro, di ispirazione puramente pacifista. Un po’ lo stesso messaggio che impernia il resto del concerto. Il programma scelto da Pappano, infatti, è tutto basato su due generazioni di compositori inglesi, vissuti a cavallo fra XIX e XX secolo; generazioni che hanno conosciuto le due guerre e le cui opere, conseguentemente, trasudano l’esperienza orribile della guerra.
La prima parte del concerto si apre con la Fantasia su un tema di Thomas Tallis di Ralph Vaughan Williams. Il pezzo è incredibilmente evocativo, ricavando il materiale tematico da un tema di Thomas Tallis, compositore di corte dei Tudor. Williams, nello sviluppo del pezzo, sfrutta gli effetti volumetrici cangianti dovuti al raggruppamento degli strumentisti in diverse compagini, che danno la sensazione di un dialogo continuo fra blocchi, in particolare gli archi. Pappano, direttore sensibilissimo e raffinato qual è, dona plastica bellezza a questi effetti di eco sonora, che sono volti a riprodurre l’atmosfera dell’Inghilterra tudor, in una versione dolcemente malinconica. Val la pena ricordare, inoltre, che nel 2022 ricorre l’anniversario dei centocinquant’anni dalla nascita di Vaughan Williams. Segue, poi, l’esecuzione del Concerto in re minore per violino e orchestra op. 15 di Benjamin Britten. Solista è la talentuosa Simone Lamsma, che regala al pubblico in sala, grazie al suo Stradivari, una performance straordinaria. Lamsma disegna la melopea composta da Britten per il violino, sensuale e quasi ipnotica, con intonazione perfetta, respiro, eccellente gestione delle dinamiche e dei volumi sonori. La scrittura di Britten, che spesso rarefà la parte orchestrale per far emergere la linea del violino, puntellata di dissonane, salti e virtuosismi tzigani, trascina in un mondo sospeso; disorienta, persino, a tratti l’ascoltatore, ma di un disorientamento seducente, ammaliante. Merito principale della Lamsma è aver saputo leggere, con raffinatezza e accortezza, questa peculiare caratteristica della scrittura britteniana dispiegata in questo concerto. Non facile anche la vita del direttore qui, giacché Pappano deve dosare i volumi orchestrali in maniera estremamente equilibrata, per creare l’effetto setoso richiesto dal compositore. Ciò avviene anche nei momenti più eccitati, come nel II (Vivace), dove la scrittura del violino si fa più graffiante, quasi selvaggia. Questo concerto, scritto in un momento delicato per la vita di Britten, anzi per le vite di tutti gli europei, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, ben incarna musicalmente il senso di disorientamento, insicurezza, quasi ansia, direi, che pervadeva lo spirito degli uomini dell’epoca. Nel III movimento, nel ritmo di Passacaglia (particolarmente amato dal compositore), l’orchestra si fa più presente, pesante, e il violino reagisce rifugiandosi nelle zone più elevate della tessitura, arieggiando verso una verticalizzazione nervosa, incerta. Il concerto si chiude in un trillo etereo del violino, che sfuma fra i vapori orchestrali e fra gli applausi del pubblico, meritatissimi per l’interprete, il direttore e, ovviamente, l’orchestra tutta.
Il secondo tempo è interamente dedicato alle Enigma Variations op. 36 di Edward Elgar. Pappano scontorna ogni variazione con gusto e polso agogico, ravvivando le evocazioni via via bonarie o semplicemente ironiche con cui Elgar ha voluto dipingere uomini e donne che lo circondavano, senza tralasciare un gustoso bozzetto che vede protagonista un cane. L’orchestra suona divinamente. Indimenticabili risultano la variazione che vede protagonista Dan, il bulldog, dove ottoni e legni gravi scontornano un cane che si strizza sulla riva di un fiume; ma anche la n. 9, un omaggio all’amico August Johannes Jaeger, o la n. 8, che allude a un chiacchiericcio borghese. La serie si conclude con un autoritratto musicale, festoso e assertivo, che chiude fra gli applausi il pezzo.