L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Gioielli russi

 di Stefano Ceccarelli

Tugan Sokhiev dirige un concerto tutto russo all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: la Cantata “Primavera” per baritono, coro e orchestra op. 20 di Sergej Rachmaninov (solista Garry Magee); le Danze Polovesiane (“Il principe Igor”) di Aleksandr Borodin; e, infine, la Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64 di Pëtr Il’ič Čajkovskij.

ROMA, 5 maggio 2022 – Il maestro Tugan Sokhiev porta un programma interamente dedicato alla musica russa, della sua patria, dunque, in un momento storico in cui – purtroppo – la cultura russa è costantemente sotto attacco a causa delle scelte politiche di chi la governa. Da Čajkovskij a Rachmaninov, Sokhiev rilegge pagine immortali del repertorio tardo-romantico e primo-novecentesco della musica russa, iniziando dalla Cantata “Primavera” di Rachmaninov. Ispirata a un poema di Nekrasov sul difficile percorso psicologico di un uomo per perdonare il tradimento della moglie, la cantata è un poema per coro e voce solista che identifica metaforicamente l’arrivo della primavera con la consapevolezza della voce maschile di dover amare e perdonare sua moglie. La musica di Rachmaninov si va evocativa del risveglio della natura dopo l’inverno, rendendo vividi i versi di Nekrasov sul disgelamento della natura cantati dal coro. La musica di Rachmaninov è una climax di colori e volumi che rappresenta, con palpabile evidenza, il risveglio della natura, non certo scevro di malinconia, giacché la voce cantante deve cercare di perdonare, appunto, il tradimento della moglie. Il brano, dunque, si vena di passaggi che oserei dire, almeno a tratti, persino cupi. Sokhiev si fa forte di una buona sensibilità per far risaltare tutti i colori della partitura; il coro e il solista, il baritono Garry Magee, dotato di una voce morbida ma incisiva, donano un’eccellente performance. Il primo tempo prosegue con le celeberrime Danze polovesiane di Borodin. Brano iconico, che ha avuto una circolazione ben più ampia dell’opera da cui sono tratte, Il principe Igor, le “Polovesiane”, nella trama dell’opera, accompagnavano una festa di danza nel campo del kahn Končak; il loro carattere varia dalla sensualità ammaliante di un puro stile orientaleggiante alla ruvida forza delle danze ‘barbare’. Ancora una volta, Sokhiev fa emergere dalla partitura i suoi colori vividi – migliorati dall’orchestrazione di Liadov/Rimskij-Korsakov, che aiutarono Borodin, genio privo di una reale institutio musicale – e disegna le melodie con gesto netto, sicuro; il coro esegue molto bene la parte a lui assegnata. Mi pare che le “Polovesiane” siano state il miglior momento musicale del concerto.

Nel secondo tempo Sokhiev dirige la Quinta di Čajkovskij. Sinfonia gigantesca, che anticipa per molti versi il linguaggio dell’ultima, la Sesta, la Quinta è una partitura da maneggiare con cura, non certo semplice da leggere e da interpretare. Sokhiev sceglie la via a lui più congeniale: gesto sicuro, ieratico (muove le mani con lentezza, senza bacchetta, disegnando lunghe linee); attenzione alle frasi portanti della melodia, che vengono scavate e eseguite con tensione vibrante; visione d’insieme resa in maniera epica, più che drammatica. Una direzione, quindi, che oserei dire magniloquente, almeno a tratti, certamente indugiata in più punti, ma a cavare l’energia portante delle strutture principali, ove qualche particolare, qua e là, può essere oggetto di minore attenzione. Un’esecuzione, comunque, molto buona e che fa gustare la bellezza della musica di Čajkovskij. In tal senso, Sokhiev si distingue per una buona sensibilità nella gestione degli attacchi e delle dinamiche, com’è evidente dal multiforme I movimento, un brano che trascolora da un Andante scuto, mortifero, a un Allegro con anima, letto con una certa ieraticità – al contrario, per esempio, di letture più animate, quasi sfrenate, come quella di Bernstein. Sokhiev, comunque, riesce a rendere vividamente il tratto saliente della Quinta, la tensione drammaticamente dialettica che emerge in ogni movimento, quando riemerge il leitmotiv della partitura. Splendido l’attacco del II movimento (Andante cantabile), dove Bernardi esegue un magnifico assolo di corno; il finale del movimento, dove riappare la tensione del I in una climax epica, ma con punte di notevole tensione, mostra l’abilità di Sokhiev di leggere l’arco intero della frase. È forse il III movimento, il Valse, che palesa, in qualche passaggio, carenza di colore; ma il IV, la cui natura ha dato adito a letture e interpretazioni notevolmente contrastanti, scorre con incredibile energia, con agogica sicura, epica, nel suo tema assertivo e compatto, tanto da strappare un sonoro applauso al pubblico in sala.


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