Hölderlin e l'ultimo Domingo
di Irina Sorokina
Triste esito per il galà dedicato anche quest'anno dall'Arena a Placido Domingo: il tenore è parso ormai l'ombra di sé stesso ed è stato costretto ad abbandonare la serata prima della fine (sostituito egregiamente dal baritono Roman Burdenko). Resta il ricordo indelebile della sua grande carriera, ma già si annuncia per il 2023 un altro appuntamento nell'anfiteatro veronese.
Verona, 25 agosto 2022 - È tradizione ormai, arricchire il cartellone del Festival lirico dell’Arena di Verona di eventi speciali, va di moda chiamarli highlight, col termine inglese. Accanto all’esecuzione della Nona di Beethoven e ai Carmina Burana di Orff, troviamo un paio di eventi di carattere molto più commerciale, come Roberto Bolle and Friends e una serata di gala con la partecipazione del tenore spagnolo Placido Domingo, star tra le star: francamente, nel passato.
Una proposta legata al presente del grande Placido è presente nel cartellone areniano dal 2019 quando il tenore spagnolo festeggiava i suoi cinquant’anni in Arena, e tre anni dopo l’evento segue la stessa formula, presentare tre atti di tre opere verdiane. Sarebbe potuta essere la stessa cosa, ma non è andata così: gli anni passano anche per i superdivi, e quel che fu accettabile allora oggi si è trasformato in un quasi disastro.
Davvero banale pronunciare e poi ripetere la frase “gli anni passano per tutti”: purtroppo, nel caso specifico non si è potuto evitare proprio. Il celebre tenore è apparso non soltanto ulteriormente invecchiato, ma fisicamente indebolito, a tratti sembrava che stesse trascinandosi sul palcoscenico. È non è finita: la memoria lo ha tradito come ha tradito il corpo e non è stato d’aiuto nemmeno il maestro suggeritore.
La serata prevedeva il secondo atto dell’Aida, estratti di Don Carlo, Preludio e il secondo atto di Macbeth, in cui Domingo ricopriva rispettivamente le parti di Amonasro, Rodrigo e Macbeth. Deludente l’estratto dell’Aida non soltanto a causa del timbro francamente tenorile per nulla adatto al ruolo del fiero re degli etiopi, ma soprattutto per i momenti di amnesia e le tante imprecisioni. Una serie nutrita di estratti di Don Carlo, una delle opere più nobili e profonde del genio bussetano, si è salvata soprattutto grazie alla partecipazione del basso russo Ildar Abdrazakov e del soprano uruguayano Maria José Siri che hanno scosso entrambi gli animi con interpretazioni profonde e musicalmente impeccabili di “Ella giammai m’amò” e “Tu che le vanità”. Parliamo comunque di un autentico salvataggio dovuto ai colleghi, Abdrazakov e Siri, poiché la fatica di disegnare la figura del nobilissimo marchese di Posa non è andata a buon fine. Rodrigo ha appena vent’anni – Domingo ha superato gli ottanta; il canto di Rodrigo è nobilissimo - Domingo pecca di sforzature e esagerazioni, e parliamo del celebre duetto “Restate!.. O signor, di Fiandra arrivo”.
Fin qui tutto accettabile anche se con mille dubbi, ma il bello doveva ancora arrivare. Tra le due scene di Macbeth, quando il pubblico sperava di gustare la scena del banchetto con il Brindisi della Lady, è stato dato l’annuncio che il celeberrimo tenore (ops, baritono!) non avrebbe cantato a causa di ”un improvviso abbassamento di voce”. Come dare torto al pubblico tutt’altro che contento e come non avere dei sospetti che l’indisposizione di Placido Domingo sia sorta all’ improvviso? Dietro le quinte, infatti, si trovava già il baritono russo Roman Burdenko che abbiamo potuto ammirare nei pannidi Nabucco, artista formidabile e poliedrico, un vero baritono verdiano, ma anche un interprete valido delle opere di Mozart e Wagner, Donizetti e Bellini, Puccini e Giordano, Mascagni e Leoncavallo, Musorskij e Čajkovskij. E proprio nella sua persona abbiamo potuto avere un’occasione preziosa di vedere e ascoltare un autentico Macbeth verdiano affiancato dai magnifici Maria José Siri, Lady Macbeth, e Ildar Abdrazakov, Banco.
Che dire? Già prima il suono della voce del tenore tra i più significativi nella storia dell’arte vocale del Novecento sembrava invocare l’ombra del grande poeta romantico tedesco Friedrich Hölderlin, che scrisse in Hyperion: ”I miei sogni tremano dalla paura all’arrivo di [...] un canto funebre [...] sotto l’accumulo delle pietre antiche”. Nella serata areniana poco felice del venticinque agosto abbiamo avuto esattamente le tre cose di cui parla il poeta: i sogni erano del pubblico, la voce che è ricordo di una grande carriera, le pietre antiche dell’Arena, e il risultato è stato proprio il tremore.
Sul podio Jordi Bernàcer si è difeso con onore, ha diretto con mano sicura e con passione autentica. Il tenore Fabio Sartori che pochi anni fa nella Tosca areniana aveva avuto un successo importante, bissando “E lucevan le stelle”, ha perso un po’ lo smalto, tuttavia le sue prestazioni nei panni di Radamès in Aida, di Don Carlo e di Macduff in Macbeth sono state più che dignitose. Si sono fatti apprezzare Yulia Matochkina, Amneris e Simon Lim, Ramfis, in Aida, Sofia Koberidse, Dama, e Gabriele Sagona, Sicario, in Macbeth.
L’espertissimo regista Stefano Trespidi e lo scenografo Ezio Antonelli hanno creato la cornice dell’evento: colorata e “antiquata” in Aida con l’uso degli elementi dell’allestimento piuttosto kitsch di Franco Zeffirelli del 2002; con un sorriso inevitabile, sobria e essenziale in Don Carlo e dinamica e intelligente in Macbeth spostato negli anni Venti del secolo scorso. Suggestive le luci di Paolo Mazzon e si fanno notare le coreografie di Luc Bouy in Aida, poco ortodosse, ma almeno capaci di destare curiosità del pubblico. Sempre magnifico il coro areniano istruito da Ulisse Trabacchin.
Parla di nuovo Hölderlin: “Ma là dove c’è un pericolo, arriva la salvezza”. Vogliamo credere che la profezia del poeta tedesco sia applicabile al Festival lirico areniano e che nel futuro vengano trovate soluzioni più dignitose per gli eventi speciali. Vogliamo crederci, ma non ne siamo sicuri affatto: l’anno prossimo il Festival areniano festeggerà il centenario e tra gli eventi vari è già annunciato “Placido Domingo in Opera – Arena 100”.