In memoria di Paola Bruni
di Alberto Spano
Il giovane Francesco Maria Navelli ricorda con un recital la pianista Paola Bruni, scomparsa nel 2019 a soli 55 anni. L'emozione dell'omaggio si accresce nell'ottima prova del musicista diciannovenne.
ALFONSINE (RA), 24 agosto 2022 – Aleggia una presenza speciale al secondo appuntamento ad Alfonsine dell’Emilia Romagna Festival, con il giovane pianista Francesco Maria Navelli al Giardino della Biblioteca Comunale: quella dell’indimenticata pianista alfonsinese Paola Bruni, scomparsa nel 2019 a soli 55 anni. Il recital di Navelli è a lei dedicato e fra il folto pubblico è presente la famiglia. Una serata importante per la comunità di Alfonsine, per chi ama la musica e per chi ha conosciuto e amato Paola Bruni, una autentica virtuosa del pianoforte dotata di una musicalità eccezionale e di una grande umanità e simpatia. Chi scrive ha ben in mente alcune sue memorabili esecuzioni, in particolare alcune prodezze che si sprigionavano dalle sue dita miracolose, quasi a sua insaputa: negli Studi di Igor Stravinsky, per esempio, nelle Sonate di Prokof’ev, nel grande repertorio romantico (Chopin e Schumann in primis), nell’amore per le desuete trascrizioni virtuosistiche, nella predilezione per un suono lucente, cristallino, sempre vivo. In lei albergava una disarmante chiarezza espositiva unita ad una gioia musicale ed una brillantezza tecnica spesso abbacinante. Come non ricordare una sua toccante interpretazione dell’ultima Sonata di Beethoven, l’op. 111, con una prodigiosa condotta dei trilli finali da togliere letteralmente il fiato, ascoltata proprio nell’Auditorium di Alfonsine quando Paola Bruni aveva circa l’età di Francesco Maria Navelli, cioè attorno i vent’anni? Navelli ne ha ora diciannove, e mentre lo si ascolta ad Alfonsine tornano in mente tante cose, tante emozioni provate più di quaranta anni fa, e il gioco della memoria rievoca mille ricordi.
Azzeccata e quasi commovente appare l’idea di aprire il concerto con il Preludio e fuga a tre voci n. 8 in mi bemolle minore dal primo libro del Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach, a mo’ di preghiera introduttiva: probabilmente la pagina più dolente di tutta la raccolta, esposta con grande rigore ritmico e precisione millimetrica, con bellissime scelte di pedale e intelligenti rubati, con una tenuta veramente esemplare nella Fuga, nonostante i disturbi tipici dei concerti open air (zanzare, rumorini del traffico, amplificazione piatta, abbaiamenti e miagolii vari, interferenze televisive, etc.). Navelli dimostra un sangue freddo encomiabile, autocontrollo e sensibilità. Meno precisione risulta nella Sonata in fa diesis maggiore n. 24 op. 78 (“Für Thérèse”) di Beethoven, la Cenerentola delle 32 Sonate, bellissima, breve, stringata nei suoi due soli movimenti, ma insidiosa nell’apparente semplice scrittura. Navelli ne coglie perfettamente lo spirito e la musicalità, ma qualche ulteriore messa a punto è necessaria, soprattutto nell’articolazione del primo movimento. Le cose si sistemano subito al meglio invece nella Terza Sonata in la minore op. 28 di Prokof’ev (che fu cavallo di battaglia di Paola Bruni), in cui tutto è più definito, dai ribattuti agli scoppi sonori, con alcuni passaggi virtuosistici da fuoriclasse. Eccellenti capacità coloristiche riscontriamo – nonostante la riottosa acustica – nella bella sequenza di quattro Preludi debussiani dal primo libro (6, 7, 8, 9), quasi una Suite sonora, con punte di eccellenza nel preludio n. 7 (“Ce qu’a vu le vent d’ouest”). Navelli dimostra di aver capito e di saperlo dire ciò che ha visto il vento dell’ovest, con un’esemplare capacità di infiammarsi al momento giusto e un’invidiabile cura della tensione musicale. Qualità tutte mantenute nella conclusiva Wanderer-Fantasie in do maggiore op. 15, l’opera forse più spettacolare e virtuosistica di Franz Schubert. Qui Navelli, nonostante l’amplificazione che mortifica le frequenze basse dello strumento e non regala nulla in termini di ritorno del suono (l’effetto è quasi di una seduta ai raggi X) mantiene il controllo delle sonorità, dimostra auto dominio e ogni tanto fa dardeggiare momenti di grande pianismo, soprattutto nel fugato finale. Successo travolgente ripagato da due fuori programma: una ipervirtuosistica Parafrasi sobre Libertango del compositore Ciro Ferrigno e lo Studio “Rivoluzionario” (op. 10 n. 12) di Fryderyk Chopin.