L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

L’aria di Roma

di Lorenzo Cannistrà

Il Teatro alla Scala ospita l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che con il suo suono brillante, unito all’esuberanza di Antonio Pappano, infiamma il pubblico meneghino. In programma la Seconda Sinfonia di Robert Schumann e il Concerto per violino e orchestra di Beethoven, solista l’applauditissima Lisa Batiashvili

MILANO, 19/11/2022 – Il concerto di questa sera figura in cartellone tra gli appuntamenti con le “orchestre ospiti straniere” (così leggiamo sul sito internet) della stagione 2022-2023 del Teatro alla Scala, insieme ai Wiener o alla Mahler Jugendorchester, per capirci. La circostanza fa quantomeno sorridere, considerato che la formazione orchestrale romana, al netto di una intensa attività oltreconfine che la vede da sempre protagonista in prestigiosi festival internazionali, è praticamente tutta targata Italia, come testimoniano le indubbie ascendenze di Sir Antonio Pappano e la nazionalità di quasi tutti i professori d’orchestra, tra cui figurano anche delle eccellenze come il clarinettista Alessandro Carbonare.

Ma a richiamare l’appartenenza al Belpaese, in maniera impalpabile ed allo stesso tempo ben percepibile, sono la musicalità e il carattere dimostrati da questa orchestra. Un misto di luminosità, leggerezza e gioia di far musica, mai dissociati dal rigore professionale, a cui il pubblico milanese accorso numeroso non è rimasto indifferente.

In realtà il primo brano in programma, il Concerto per violino e orchestra op. 61 di Beethoven non è un pezzo in sé adatto a scatenare entusiasmi superficiali, puramente epidermici. La scrittura violinistica e la tessitura del primo movimento presentano un carattere ampiamente lirico e a volte meditabondo, sullo sfondo di un tema principale netto, marcato, quasi marziale. Vi si rinvengono le geniali “trovate” del Beethoven migliore dell’epoca (impossibili da enumerare, ma mi viene in mente una catena di trilli che sembra quasi un accenno di quella del pianoforte, celeberrima, nel secondo movimento del Concerto op. 73, l’ ”Imperatore”), e soprattutto un’inventiva melodica continua, che sostiene tutta la composizione. Questo lirismo di fondo rende obiettivamente difficile la decodificazione di quest’opera, che rappresenta senz’altro un banco di prova decisivo per la sensibilità di qualunque interprete. Non a caso la trascrizione per pianoforte e orchestra che ne fece lo stesso Beethoven (l’op. 61A, il suo sesto concerto per pianoforte e orchestra), non riesce nell’intento di bissarne la profondità emotiva (senza il vibrato del violino la scrittura rimane spesso un po’ “vuota”) e resta inoltre sottotono anche dal punto di vista del virtuosismo.

Lisa Batiashvili è da diversi anni una delle migliori strumentiste in circolazione, e lo dimostra con una lettura di questo concerto assai consapevole e matura. Ciò che piace della Batiashvili è sicuramente il suo suono pieno e vigoroso, ammirevole per continuità e tensione drammatica. La violinista georgiana non lascia trasparire il virtuosismo, anzi lo mette volutamente sotto teca, ad esclusione della cadenza del primo movimento e di qualche passaggio “obbligato” del terzo movimento. Il pubblico le ha tributato una giusta ovazione, meritata per la sostanza musicale espressa più che per il virtuosismo esibito. Non a caso l’acrobatico primo bis offerto non ha sortito il medesimo entusiasmo, mentre maggiori consensi ha riscosso la trascrizione di Anders Hillborg per violino ed archi di Ich ruf zu dir (BWV 639) di Johann Sebastian Bach, dalle sonorità raffinate e assolutamente rispettose dello spirito del genio di Eisenach (come lo stesso Pappano ha tenuto a precisare rivolgendosi al pubblico prima dell’esecuzione).

La seconda parte del concerto è stata monopolizzata dalla Seconda Sinfonia in do maggiore op. 61 di Schumann. E’ interessante il contrasto che viene a crearsi nell’accostamento con il Concerto di Beethoven: al di là della curiosa coincidenza dei numeri d’opera (61 in entrambi i casi), in Beethoven troviamo il momentaneo placarsi, come nell’occhio del ciclone, degli enormi conflitti interiori che caratterizzarono sua esistenza e che lo videro vittorioso almeno in musica, laddove nel lavoro di Schumann troviamo vivi e antagonisti quei fantasmi da cui il compositore era altrettanto lacerato, e che finiranno per vederlo soccombente nella vita. La sinfonia riflette questo carattere inquieto e a momenti turbolento, ma non privo di humor e felici improvvisazioni. Ed è proprio questo il tratto enucleato dall’esecuzione degli orchestrali romani: una volontà di vivere, di gioire anche in mezzo alle difficoltà della vita e alle ombre che cominciavano a popolare la mente di Schumann. Sia pur nei limiti propri del sinfonismo di quest’autore, che non è forse riuscito a trasfondere nella sua produzione orchestrale la rivoluzione, non formale ma di contenuto, ben espressa nei suoi lavori pianistici, questa Seconda Sinfonia ha strappato vive manifestazioni di ammirazione ed entusiasmo nel pubblico presente. Gli incastri ritmici del primo movimento, il moto perpetuo dello Scherzo, la profondità dell’Adagio espressivo, sono stati ardentemente ricreati dall’orchestra sotto l’incalzante gesto di Pappano, infaticabile trascinatore oltre che abile concertatore.

Tra i bis piacevolissimi regalati dall’orchestra, anche una scintillante esecuzione dell’Ouverture da Le nozze di Figaro di Mozart, in cui ancora una volta si è potuta apprezzare quella leggerezza tersa e rinfrescante, proprio come l’aria di Roma, ma non priva di disimpegno e del duro mestiere che vi è dietro, che a tutt’oggi mi sembra la qualità principale di questa eccellente formazione orchestrale .


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