I quadri delle Carmelitane
di Ramón Jacques
L'opera di Poulenc torna dopo più di trent'anni alla Houston Grand Opera con una produzione visivamente efficace, ma che non convince del tutto per regia e direzione. Buono il cast, nonostante la defezione della prevista Anna Caterina Antonacci.
HOUSTON, 14 gennaio 2021. Dopo oltre trent'anni di assenza, Dialogues des carmélites di Francis Poulenc tornano sul palco della Houston Grand Opera. Nonostante le sue apparizioni in Nord America siano poche, è un capolavoro del XX secolo che non ha perso il suo posto nel repertorio operistico tradizionale. Recentemente il Metropolitan di New York lo ha presentato nel 2019; e oltre a queste recite a Houston, l'opera di San Francisco (compagnia dove fu presentata per la prima volta negli Stati Uniti, nel settembre 1957, appena tre mesi dopo la sua prima assoluta in francese nel giugno 1957 a Parigi) l'ha prevista per l'ottobre del 2022. La produzione di Houston è riuscita in parte a soddisfare le aspettative che si generano quando si rappresenta un'opera di questo calibro. La scena disegnata da Hildegard Bechter, efficiente per la sua semplicità e minimalismo, era costituita da tre pareti circolari che ruotavano ad ogni cambio di ambiente e alcuni motivi religiosi ed elementi essenziali; con la brillante gestione delle luci ideate da Mark McCullough, che provenivano da entrambe le estremità o dal retro del palco, è stata creata una costante sensazione di angoscia, irrequietezza e ansia. Bechter ha tratto ispirazione per i suoi progetti dalla cappella di Notre Dame de Haut de Ronchamp, in Francia, dell'architetto Le Corbusier. Di ottima fattura gli eleganti costumi d'epoca creati da Claudie Gastine. Questa combinazione ha creato quadri estetici e sublimi, che hanno posto un problema per la regia di Francesca Zambello, praticamente inesistente, essendo lo sviluppo della recita più simile a una successione di bei dipinti in un museo che a un'opera con continuità e filo conduttore. L'eccesso di recitazione e la drammaticità nell'interpretazione di alcuni personaggi non erano necessari dato il contesto della storia e la tensione già implicita in orchestra. Il suo modo di risolvere la scena della ghigliottina, con le suore che entravano in una capsula d'oro, oltre a rompere con l'arte visiva, era una soluzione discutibile e caricaturale.
La partitura ha parlato da sola con la performance professionale dei musicisti dell'orchestra, nonostante la condotta imprecisa e superficiale di Patrick Summers, che sembrava non approfondire la ricerca di colori e sfumature, e per gli inaspettatati cambiamenti della dinamica, a volte troppo veloce, a volte con lentezza letargica e fastidiosa. Del cast vocale si evidenziava l'esperienza e la solidità vocale del soprano Patricia Racette nel ruolo di Madame Croissy, in sostituzione dell'annunciata Anna Caterina Antonacci. Come Blanche, il soprano gallese Natalya Romaniw ha mostrato un timbro robusto, con una buona proiezione e sensibilità. Dal canto suo, Lauren Snouffer è piaciuta nel ruolo di Constance per la nitidezza e chiarezza della sua voce, la gamma di colori nel suo timbro, la sua dizione ammirevole e il carattere giovanile e ingenuo di cui ha dotato il personaggio. Il mezzosoprano Jennifer Johnson-Cano ha cantato con profondità e calore come Marie de l'Incarnation. Christine Goerke ha mostrato una voce potente e omogenea e ha offerto una performance teatrale convincente nei panni di Madame Lidoine. Il resto del cast, i cantanti e i membri del coro sono stati corretti, con una menzione per il baritono veterano Rod Gilfry come Marchese de la Force, per il tenore Chad Shelton come Cappellano e per il tenore Eric Taylor che ha dato vita al Chevalier de la Force. Da segnalare anche l'esecuzione commovente, malinconica e agghiacciante del Salve Regina al termine dell'opera, uno dei momenti di punta dell'opera e forse dell'intero repertorio operistico, almeno del XX secolo.