Voci lucenti in cornice grigio rossa
di Irina Sorokina
Nella rinnovata fortuna di Adriana Lecouvreur si colloca anche la coproduzione dei teatri dell'Emilia Romagna, protagonisti Maria Teresa Leva, Teresa Romano, Luciano Ganci e Claudio Sgura.
MODENA, 13 marzo 2022 - Per tanto tempo il capolavoro di Francesco Cilèa Adriana Lecouvreur ha goduto di una notorietà limitata senza parlare del fatto che oltre i confini italiani fu pressappoco sconosciuto. Negli ultimi mesi il titolo più famoso della scarsa produzione del compositore calabrese sembra attraversare un momento di gloria: a Bologna è stata protagonista di due edizioni, prima televisiva e poi teatrale, ora arriva al Teatro Comunale di Modena per proseguire in giro di una settimana per il Municipale di Piacenza. Tutto questo accade in Emilia Romagna, ma non dimentichiamo che in concomitanza sta andando in scena Adriana Lecouvreur al Teatro alla Scala di cui protagonista sarebbe dovuta essere Anna Netrebko sostituita per i motivi ben noti da Maria Agresta.
Al Teatro Comunale di Modena, che da poco porta i nomi di due celebrità assolute del secolo scorso entrambe modenesi, Luciano Pavarotti e Mirella Freni (quest’ultima un’indimenticabile Adriana alla Scala, per fortuna filmata), arriva il nuovo allestimento dell’opera di Cilea coprodotto della Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Regio di Parma con la regia di Italo Nunziata, scene di Emanuele Sinisi e costumi di Artemio Cabassi. Sulle pagine dell’Ape musicale abbiamo parlato e parliamo spesso della Signora Opera come la chiamò lo scrittore austriaco Franz Werfel, autore del romanzo Verdi, quindi attenzione: tra le numerose Signore, Adriana Lecouvreur si colloca al primo posto. Ricordate “Splendida! Portentosa! Musa!.. Diva! Sirena!”? Ed è proprio questo il punto cruciale: trovare un soprano che corrisponda a queste tre caratteristiche; un’impresa pressappoco impossibile. In cerca della “Musa, Diva, Sirena” prima si passa ad esplorare l’ambiente in cui vive, o, meglio, l’ambiente modificato dai creatori della nuova produzione dei teatri emiliani.
C’era da aspettarselo che il team che ha messo in scena Adriana non ci avrebbe dato il permesso di godere le faccende amorose tra attrici e nobili ambientate, come vuole l’originale, “tra le trine morbide” e con immancabili panier, justaucorps e parrucche incipriate. La faccenda viene trasferita dal regista Italo Nunziata negli anni cinquanta del secolo scorso, tra la gente del bel mondo e di teatro; per l’impianto scenico Emanuele Sinisi sceglie la strada della semplificazione e dell’alleggerimento: amori, rivalità, inganni, scherzi tra compagni di mestiere e colpi di scena si svolgono in uno spazio unico, teatro e stanza contemporaneamente. Si ispira al mondo segnato dal glamour immortalato nelle fotografie d’epoca in bianco e nero degli anni cinquanta, mentre colori sgargianti vengono scelti per un sipario rosso intenso che taglia in diagonale un altro sipario grigio e per i costumi dei personaggi appartenenti al teatro, firmati da Artemio Cabassi. Molto belli i vestiti delle due rivali, anche se, purtroppo, appesantiscono le loro figure. L’idea di collocare la storia del triangolo amoroso negli anni cinquanta del Novecento non manca di un certo interesse ma, secondo il nostro parere, priva Adriana Lecouvreur, opera dell’epoca verista (ma in realtà, di verismo sa poco) in veste storica, del linguaggio “umile” e dalla scrittura piuttosto lineare di Cilèa, della dovuta eleganza.
In questo ambiente grigio con la macchia ardente del sipario in mezzo, Nunziata costruisce il suo spettacolo in modo meticoloso, preoccupandosi moltissimo della disposizione dei personaggi nello spazio, ma molto meno dell’aspetto psicologico del dramma e lascia ad ogni interprete una grande libertà per quanto riguarda l’interazione con i partner.
In conformità al progetto registico, anche le coreografiche di Danilo Rubeca si riferiscono ai mondi di coreografi quali Martha Graham, Merce Cunningham, José Limòn e vengono eseguite dai danzatori Agora Coaching Project a cura di MM Contemporary Dance Company. La scena danzante, nella partitura Il giudizio di Paride, viene eseguita in mezzo agli ospiti della festa al palazzo del principe, abolisce i numeri chiusi previsti nella partitura di Cilea in cerca di maggiore fluidità. Sarà, ma non ci si riesce a scacciare la sensazione di disagio dovuto all’abisso tra le musiche e le coreografie proposte.
Sul palcoscenico del Comunale di Modena si esibisce un buon cast che offre la buona prestazione in un continuo crescendo. Nel ruolo tanto impegnativo della protagonista Maria Teresa Leva fornisce un’efficace prestazione vocale, conquistando il pubblico passo per passo. L’aria di sortita “Ecco, respiro ancor… Io son l’umile ancella” è cantata liberamente, con ispirazione sufficiente e con gusto del sublime, legato carezzevole e chiaroscuri buoni, ma con una certa insicurezza e non è in grado, secondo il nostro parere, di portare l’ascoltatore all’estasi che provoca l’apparizione di una Diva. Ritorniamo al solito discorso che sorge quando va in scena Adriana Lecouvreur, e non ci vuole certo la Treccani per darne la definizione. Maria Teresa Leva è un bravissimo soprano e nello spettacolo modenese va sempre in crescendo, come cantante e come attrice. Tuttavia, deve ancora arrivare a poter impersonare una Diva: per adesso abbiamo un’Adriana un po’ “sempliciotta”. La cantante si riscatta nell’ultimo atto, coll’intonare di “Poveri fiori” in modo delicatissimo, quasi col filo della voce e con colori splendidamente variegati. Tornando al discorso di “Musa!.. Diva! Sirena!” affermiamo che la protagonista ha ancora della strada da fare per considerarsi Diva, ma che la Signora Opera può considerarsi soddisfatta nella città emiliana.
Notevole Teresa Romano nella parte della principessa di Bouillion, presenza scenica imponente al limite di “violenza” e voce dal volume enorme, scura, ben timbrata. Nell’”Acerba voluttà”, probabilmente travolta dalla passione, sembra esagerare parecchio facendo scappare sonorità grossolane e grezze, come se fosse “intubata”. Per fortuna, la cantante lascia quasi subito queste esagerazioni per ritrovare l’equilibrio giusto e delizia l’orecchio nella “vagabonda stella d’Oriente”. Trova toni più equilibrati nello scontro con Adriana nel secondo atto e disegna un personaggio tutto d’un pezzo, tuttavia una tavolozza di colori più variegati gioverebbe a questa principessa di Bouillon.
Luciano Ganci deve affrontare, come l’interprete del ruolo principale, un compito arduo: Adriana è Diva, ma è Divo anche il personaggio affidato al tenore, Maurizio di Sassonia, figlio illegittimo del re di Polonia, che miete le vittime tra le femmine e addirittura mette in fuga “il russo Mencikoff”. Insomma, il Divo tra le femmine, il Dio tra i guerrieri. La personalità di Ganci, secondo il nostro parere, lo avrebbe portato in un’altra direzione, verso i personaggi più moderni, con una psiche più profonda e tormentata. Tuttavia il tenore figura molto bene nel ruolo del nobile brillante dedito al doppio gioco, recita in modo convincente e soprattutto fornisce una prestazione vocale molto apprezzabile. La voce chiara, pulita, dalla linea raffinata e dal bellissimo squillo è capace di affrontare sia le tinte amorose di “La dolcissima effigie” (con l’acuto leggermente affaticato) sia quelle malinconiche di “L’anima è stanca”.
Ma c’è un’altra stella di sesso maschile che illumina con la luce propria lo spettacolo modenese, Claudio Sgura nel ruolo di Michonnet. Uno della sua statura non passa certo inosservato e il baritono abilmente fa di questa particolarità uno dei suoi punti forti: viene fuori un Michonnet altissimo ed elegante dotato di una gran classe, forse un bravo artista messo da parte da qualche intrigo ignobile da parte dei colleghi. Desta una simpatia incredibile, conquista per una naturalezza disarmante e attira l’occhio dall’inizio alla fine, mentre l’orecchio è rapito da un’interpretazione memorabile; il monologo dietro le quinte nel primo atto brilla per un’eccezionale espressività e la frase “Lasciam scherzare i grandi” è cantata da manuale. Abbiamo a che fare, per nostra fortuna, non soltanto con una voce bella (se ne trovano!), ma con una voce cosiddetta intelligente, in grado di disegnare il personaggio attraverso respiro, linea, accento.
Efficace e credibile Adriano Gramigli, il principe di Bouillion, mentre Saverio Pugliese, un cantante di tutto rispetto, non ci è sembrato sufficiente ironico e vivace nel ruolo dell’abate di Chazeuil. Un quartetto ben funzionante dei colleghi di Adriana formano Shay Bloch – m.lle Dangeville, Maria Bagalà – m.lle Jouvenot, Stefano Consolini – Poisson, Steponaz Zonys – Quinault.
Sul podio del Teatro Comunale, alla guida dell’Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini, Aldo Sisillo. Visibilmente affascinato dalle bellezze della partitura di Cilea, si dimostra molto attento al linguaggio del compositore calabrese, così diverso dai suoi contemporanei Puccini e soprattutto Mascagni e Leoncavallo; tiene alla chiarezza delle linee, sostiene le voci nel modo giusto senza trascurare i brani da una grande caratura drammatica. Ottimo il Coro Lirico di Modena preparato da Stefano Colò.
Successo pieno, applausi generosi e numerose espressioni d’ammirazione per i cantanti.