Come la Tosca... al cinema
di Roberta Pedrotti
Prima operistica allo Sferisterio con la Tosca di Puccini, affidata alle cure musicali rassicuranti di Donato Renzetti e alla regia non sempre ben risolta sul piano drammaturgico di Valentina Carrasco. Nel cast emerge lo Scarpia di Claudio Sgura.
MACERATA, 22 luglio 2022 - Dopo il doppio appuntamento sinfonico d'apertura con ospiti illustri [Macerata, concerto Mehta, 19/07/2022 e Macerata, concerto Chung, 21/07/2022], allo Sferisterio fa il suo ingresso la Diva di casa, l'opera, anzi: la Diva per eccellenza, Tosca. Attesa tanto più perché quest'anno fanno finalmente il loro debutto due produzioni progettate per andare in scena nel 2020 (l'altra è Il barbiere di Siviglia) e per una curiosa coincidenza tutte e due indipendentemente concepite intorno al legame con piccolo e grande schermo. Da qui, l'idea del nuovo direttore artistico Paolo Pinamonti di fare di cinema e dintorni il fil rouge dell'intero festival, abbinando i Pagliacci di Leoncavallo a The circus di Chaplin e inserendo altri appuntamenti a tema nel cartellone.
Bisogna dire che se l'enunciato di base di questa nuova produzione di Valentina Carrasco (scene di Samal Blak, bei costumi di Silvia Aymonino, luci di Peter van Praet e video di Tiziano Mancini) ha, nell'idea, un suo fondamento e nella sua realizzazione alcuni momenti felici, purtroppo la drammaturgia zoppica alquanto, ora non risolvendo ora sciupando uno degli impianti narrativi più perfetti dell'intero repertorio. Siamo, infatti, in uno studio cinematografico anni '50 dove si sta girando un film storico sulla battaglia di Marengo: Tosca è la protagonista, l'Attavanti un'attrice rivale, Cavaradossi il pittore scenografo e Scarpia il produttore onnipotente. Sembra Cinecittà, ma alcuni dettagli non quadrano, per quanto possano avere un sapore vagamente felliniano (più i Ginger Roger e Fred Astaire del Batman in stile Adam West, fra le comparse di passaggio); anche i poteri polizieschi del barone lasciano qualche dubbio, almeno fino a quando, nel secondo atto, una proiezione non palesa il riferimento alla caccia alle streghe del senatore McCarthy. Siamo a Hollywood, allora, e Scarpia è una specie di Elia Kazan che dagli studios fa da informatore e agente per il governo. La cosa può funzionare, anzi: solleva questioni importanti che con l'intreccio di arte e politica, anelito di libertà e stato di polizia, delazioni e ricatti alla base del dramma pucciniano possono sposarsi benissimo. Invece, non tutto fila liscio se cade troppo spesso la sospensione d'incredulità di fronte a inevitabili incongruenze (Napoleone e Melas saranno nomi in codice?), se la recitazione dei tre protagonisti alla fine ripete moduli tradizionali, se la morte di Cavaradossi in un incidente sul set orchestrato ad arte lo vede trasformati in modo abbastanza incomprensibile da scenografo ad attore. La proiezione dei titoli di testa che mescolano la locandina reale con i personaggi del libretto risulta stucchevole, troppo scanzonata e in generale le immagini filmate slittano un po' troppo spesso fra il piano reale, mostrando ciò che il pubblico non potrebbe vedere altrimenti, la fusione con l'azione (Scarpia voyeur che filma “Vissi d'arte”, Tosca che uccidendolo lo colpisce con la stessa macchina da presa mentre continua a trasmettere, entrambe idee interessanti), il film Marengo che si sta girando. Per contro, la Tosca donna e attrice che prima di uccidere il suo aguzzino indossa il costume per identificarsi con il personaggio è uno dei momenti felici che ci ricordano che Carrasco abbia ottime idee, sebbene al suo lavoro sembri mancare una piena coerenza drammaturgica. Al pubblico, comunque, non dispiace, e se gli applausi finali non sono al calor bianco la squadra registica è accolta con tutta cordialità a fine serata.
Sul podio, torna, dopo ventisette anni dal suo ultimo incontro allo Sferisterio con l'opera pucciniana, Donato Renzetti, oggi in veste di direttore musicale del Festival. Far quadrare i conti non è sempre facilissimo, vuoi per un coro Bellini non sempre impeccabile sotto la direzione di Martino Faggiani, vuoi per una distribuzione nello spazio che rischia di portare troppo in evidenza la cantata del secondo atto, ma proprio qui entra in gioco la grande esperienza del maestro che tiene tutto sotto controllo, anche a costo di sacrificare un po' la tensione. D'altra parte, la Filarmonica Marchigiana risponde bene confermando l'ottimo lavoro svolto negli ultimi due anni, mentre il cast viene messo giustamente a proprio agio. Fra tutti il migliore e il più sicuro è Claudio Sgura e non sorprende, vista la frequentazione del ruolo, ma il merito della gestione signorile di una statura tanto imponente, oltre che di un personaggio così insidioso, va riconosciuto ancora una volta. Solida di voce, ma un po' più generica per musicalità e resa del personaggio è Carmen Giannattasio (il Do della lama è sferrato senza difficoltà, ma il racconto della morte di Scarpia non raggiunge il pathos sperato), mentre risulta alterna la resa di Antonio Poli, la cui natura e indubbia qualità di tenore mozartiano e donizettiano mostra la corda in momenti ardenti come il “Vittoria” e finisce per deludere proprio sul piano del legato e della fluidità della frase. Completano il cast il Sagrestano di Armando Gabba, lo Spoletta di Saverio Fiore, lo Sciarrone di Gianni Paci, il Carceriere di Franco Di Girolamo. Come Pastorello si alternano Sofia Cippitelli e Petra Leonori e val la pena ricordare una delle felici intuizioni di Carrasco che, fra elementi scenografici ispirati alla città di Roma, fa intonare lo stornello a una bimba che ci ricorda un po' Bellissima, un po' (anzi, soprattutto) la giovanissima Judy Garland. E, a proposito di bambini, citiamo anche i Pueri Cantores D. Zamberletti preparati da Gian Luca Paolucci.
Come già ricordato, accoglienza cordiale per tutti e poi tante, tante discussioni, scandagliando questa o quella scelta musicale e teatrale. Per fortuna, perché l'opera non è una guerra fra fazioni preconcette, ma anche il piacere di confrontarsi e interrogarsi di fronte allo spettacolo che ci incanta o a quello che ci lascia perplessi.