Il libertino di garbo
L'opera di Mozart apre la stagione lirica del Regio di Parma nella ripresa dell'allestimento - non esente da arbitrî - di Mario Martone. La concertazione di Corrado Rovaris è più garbata che incisiva e viaggia spedita accompagnando un cast che allinea artisti di valore.
PARMA, 21 gennaio 2023 - L'apertura di stagione del Teatro Regio di Parma, alla vigilia della festa di Sant'Ilario (13 gennaio), coincide con il mese in cui è morto Verdi. Ma, nello stesso 27 gennaio si ricorda anche la nascita di Mozart e, allora, sia la ricorrenza più festosa a consacrare l'inaugurazione. Trattandosi, poi, di un momento di transizione, neonominato il sovrintendente Luciano Messi con un cartellone ancora ereditato dalla gestione Meo, si viaggia tranquilli con uno dei titoli più noti e un allestimento collaudato, d'ambientazione tradizionale e che nel tempo, di ripresa in ripresa, si è fatto sempre più cauto e rassicurante.
Stiamo parlando di Don Giovanni nella produzione di Mario Martone affidata, come già a Como in autunno, a Raffaele Di Florio [leggi la recensione: Como, Don Giovanni, 01/10/2022]. E come a Como ci troviamo a deprecare l'idea di spostare “Dalla sua pace” fra il duetto Donna Anna / Don Ottavio e la sortita di Donna Elvira. Ammesso e non concesso che si debbano eseguire entrambe le arie del tenore (ricordiamo che, per quanto possano essere pagine stupende e consolidate dalla tradizione, in entrambe le versioni curate da Mozart e Da Ponte il tenore ha un'aria sola, e solo nella seconda Elvira ne ha due), “Dalla sua pace” ha senso là dove gli autori l'hanno collocata, come risposta alla rivelazione del delitto di Don Giovanni e contrappeso musicale all'invettiva di “Or sai chi l'onore”. La questione dello spostamento non dovrebbe nemmeno porsi, eppure si fa e nessuno batte ciglio: si sollevano polveroni indicibili per un'ambientazione trasposta rispetto alla tradizione, mentre quasi nessuno sembra preoccuparsi se si altera il testo nella sua logica drammaturgica e musicale.
Per il resto, i costumi sono belli (le parrucche meno), l'impianto scenico è ben trovato e ben sfruttato, sia nella sua forma metateatrale di cavea/arena, sia nella resa spaziale dei rapporti di classe: si riconferma l'elogio a Sergio Tramonti. Permane la difficile resa acustica della parte del Commendatore, confinato quasi sempre sul fondo, ed è forse per questo che Giacomo Prestia risulta poco a fuoco anche nel rapporto con l'orchestra. Anche a Como, peraltro, il convitato di pietra risultava un tantino sacrificato, ma se là la compagnia si distingueva per fresco entusiasmo, qui abbiamo schierati artisti più o meno esperti ma tutti già ben consolidati. Ciascuno porta in dote la propria personalità e la propria lettura, con esiti anche rilevanti, per quanto non sempre paiano iscritti in una visione comune dettata e coordinata da podio e regia.
Le donne spiccano per carattere e determinazione. Mozart non ha segreti per il gusto del canto sulla parola di Carmela Remigio, che scandaglia le pieghe di Donna Elvira sottraendola al cliché della stalker isterica. È la dama di Burgos, comprensibilmente irritata e nervosa che resta dama ma mette da parte le buone maniere, si fa sarcastica, decisa, perde le staffe, senza esser matta. Mariangela Sicilia affronta Donna Anna con il peso vocale di chi dal Belcanto si sta sempre più dirigendo verso Verdi e Puccini; la storia esecutiva dell'opera accoglie nella sua tradizione un'interpretazione più corposa e il soprano calabrese, con un'ottima tenuta di fiati e tessitura, delinea un carattere volitivo, appassionato e autorevole. Voce luminosa e ben rifinita, fraseggio sensuale e spontaneo, si apprezza, e molto, anche la Zerlina di Enkeleda Kamani.
Note positive anche sul versante maschile, capitanato dal Don Giovanni di un artista raffinato come Vito Priante, che punta su una lettura aristocratica, quasi distaccata e disincantata di Burlador più maturo che irruente. Riccardo Fassi è un baldo Leporello che con la sua voce di vero basso sempre pulita, timbrata e ben articolata nell'emissione restituisce il giusto equilibrio di timbri e tessiture con Priante. Ottimo anche Marco Ciaponi, un Don Ottavio che sa legare, sfumare, cantar sul fiato e accentare, così da rendere al personaggio tutta la dignità che gli spetta, innamorato e non svenevole, nobile e non impettito. Non troppo incisivo, Fabio Previati completa il cast quale Masetto.
Il coro del Regio e l'orchestra Toscanini offrono a loro volta una buona prova, che tuttavia risente ancora di un clima di generica correttezza che sembra mai accendersi di una vera anima condivisa. Corrado Rovaris è un direttore esperto, che frequenta e conosce le opere di Mozart e Da Ponte fin dagli inizi della sua carriera e di cui abbiamo sempre apprezzato l'eleganza, eppure lascia un'impressione interlocutoria, come se il suo compito fosse solo far quadrare i conti lasciando spazio al talento individuale, con tempi talora spediti e accensioni che però non arrivano a delineare le tensioni rapinose e i mobili respiri che avremmo auspicato. Tutto, bene, tutto a posto, tutto fluido e gestito con ottimo mestiere, ma nulla di più a farsi ricordare, con il rammarico dei recitativi in cui il fortepiano di Gianluca Ascheri ha un ottimo suono, ma non si è voluto affiancare al violoncello che la prassi esecutiva richiederebbe per il continuo.
L'accoglienza parmigiana è festosa e ci accodiamo volentieri per una recita che senz'altro soddisfa, anche se non entusiasma.