L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Come dentro a un quadro

di Lorenzo Cannistrà

La bohème torna alla Scala in occasione del centenario della nascita di Franco Zeffirelli. La mitica messinscena del regista fiorentino è stata animata da un cast complessivamente all’altezza, diretto con esiti alterni dalla coreana Eun Sun Kim.

leggi anche: Milano, La bohème, 26/03/2023

MILANO, 11 marzo 2023 – La bohème è da sempre considerata l’opera lirica per eccellenza, sotto molteplici punti di vista. Le ragioni sono effettivamente tante, dall’intensità del dramma vissuto nella semplice cornice di un’umile soffitta, alla potenza dei colori orchestrali, all’invenzione melodica senza pari. Tra i vari motivi di perfezione vi è anche quello, non secondario, squisitamente drammaturgico: si tratta di un’opera che non ha praticamente mai momenti anche solo leggermente meno ispirati, mostrando in questo senso una compattezza superiore persino alle altre celeberrime creazioni pucciniane. Si pensi al vagheggiamento di un futuro migliore prima dell’inevitabile finale tragico, topos ricorrente (si pensi a “Parigi o cara” nella Traviata). È indubbio che il girotondo di ricordi che anima il canto di Rodolfo e Mimì nel quarto atto abbia una pregnanza ben più incisiva dell’analogo duetto nel terzo atto di Tosca, o rispetto alla scena dei fiori in Butterfly. Inoltre si tratta di un dramma il cui svolgimento non risente minimamente dell’assenza di unità di tempo e di luogo: lo sviluppo è serrato non meno che in Tosca o Turandot, in cui invece quell’unità è granitica. Tutte queste ragioni ne fanno ancora oggi l’opera perfetta per antonomasia, e soprattutto tra quelle che possono vantare il maggior numero di rappresentazioni in tutto il mondo.

È altrettanto noto che il genio teatrale di Zeffirelli è riuscito a ritagliarsi uno status di grande classico per quest’opera. Vedere La bohème nell’allestimento zeffirelliano del ’63 rappresenta un motivo di interesse non semplicemente aggiunto, ma una reale attrazione in sé. Si tratta, in altre parole, del capolavoro proposto nella sua declinazione tradizionalmente perfetta. Un binomio per certi versi inscindibile, pur nella varietà di pregevoli regie che ovviamente nei decenni sono state proposte: si pensi al taglio moderno e di grande potenza drammatica ideato dal compianto Graham Vick, un sublime squallore, desolatamente anonimo, terrificante, nudo e senza nome. Ma tornando a Zeffirelli e alla sua Bohème, solo per fare un esempio, la Staatsoper di Vienna – che però è un’istituzione del tutto peculiare a livello mondiale, sia per la quantità di rappresentazioni, che per il taglio tradizionale e “rassicurante” di buona parte della programmazione stagionale – mantiene l’allestimento del ‘63 in cartellone quasi ininterrottamente da decenni (tra l’altro questa Bohème ha inaugurato proprio la stagione operistica ‘22-’23 con Anna Netrebko).

Pertanto, fatte queste premesse, a parlare della messinscena zeffirelliana riproposta alla Scala per celebrare il centenario della nascita del grande regista, si corre il rischio di puntualizzare l’ovvio, di ripetere cose già dette e pressochè scontate. E tuttavia, pur nella versione “rigenerata” (l’espressione poco felice è dell’Ansa) di Marco Gandini, ci si permette di ribadire che l’impatto visivo, il fascino delle mitiche scene del regista fiorentino è rimasto immutato e ci ripropone ancora oggi la sua magia: la sensazione di essere dentro un quadro, senza cadere in una sterile oleografia.

Alla guida della sempre eccellente Orchestra Filarmonica della Scala, la coreana Eun Sun Kim, attualmente direttrice musicale dell’Opera di San Francisco, è ormai considerata tra le bacchette più rinomate a livello mondiale. Gesto asciutto, essenziale, tecnica sicura, è stata tuttavia criticata anche duramente sin dalla prima rappresentazione per un certo approccio metronomico, privo di fantasia, che non pare effettivamente il miglior viatico per rendere al meglio le scorribande di Rodolfo e i suoi compari. L’impressione è stata per vero ambivalente: nei primi due atti la direzione è sembrata un po’ discontinua, risentendo forse dei continui e repentini cambi di registro, e si è anche avvertita qualche difficoltà nel gestire la complessità delle scene davanti al Caffè Momus. Invece nel terzo e quarto quadro, laddove il dramma si rivela nella sua profondità, la direttrice coreana ha mostrato un polso maggiormente saldo, trasmettendo un pathos convincente e ininterrotto fino all’epilogo.

Il cast è stato complessivamente all’altezza dell’importanza dell’evento.

Su tutti ha svettato Marina Rebeka, una Mimì dalla morbida emissione e dal timbro sempre omogeneo, che ha dato il meglio di sé nel terzo atto (obiettivamente commovente il suo “Donde lieta uscì”, non a caso applauditissimo).

Freddie De Tommaso è stato un Rodolfo forse non indimenticabile, ma con il pregio di un’ottima tenuta ed omogeneità vocale ed una credibilità scenica degna di nota. È ancora un tenore molto giovane, e quindi la sua prova appare vieppiù valida e già matura.

Marcello e Schaunard, rispettivamente Luca Micheletti e Alessio Arduini, sembrano quasi gemelli per bravura e capacità di immedesimarsi nella guasconeria dei loro personaggi. Sono stati ottimi compagni d’avventura per Rodolfo e Mimì, sfoggiando vivacità vocale, varietà espressiva e mimica convincente.

Menzione a parte per Jongmin Park (Colline), la cui "Vecchia zimarra"è una nicchia di commozione incastonata con discrezione nel più ampio dramma, resa più preziosa da un timbro oggettivamente bello e coinvolgente. Molti applausi anche per lui.

Irina Lungu ha dato vita ad una Musetta assolutamente credibile e vocalmente eccellente. Si fa quasi fatica ad immaginarla poi nella parte di Mimì (nelle varie recite si alterna con Rebeka), ma dai resoconti sui cast alternativi pare che sia stata un’ottima interprete anche del personaggio principale.

Uno spettacolo che nel complesso ha funzionato molto bene, compresi i vari comprimari – su tutti va menzionato Andrea Concetti, Benoit/Alcindoro, fine caratterista –, il coro guidato da Alberto Malazzi e il coro di voci bianche preparato da Bruno Casoni.

Grande entusiasmo e commozione in sala, come sempre c’è da aspettarsi dopo una rappresentazione della Bohème. Concludo con una nota di colore: nei palchi degli specchi era presente – inconfondibile silhouette e immancabili occhiali scuri – Andrea Bocelli, che in passato è stato un Rodolfo piuttosto controverso. Speriamo che questa recita sia piaciuta anche lui.


 

 

 
 
 

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