Aguzza l'ingegno
di Roberta Pedrotti
La prima produzione operistica del decennale dell'Orchestra Senzaspine, La bohème, fa tappa a Budrio, Bologna e Imola rinverdendo un'idea di provincia che non sia solo palcoscenico minore, ma anche luogo di crescita per gli artisti e di diffusione della cultura musicale.
IMOLA, 5 aprile 2023 - Ebbene sì, si può fare, anche se non è facile. Lo dimostrano questi dieci anni di Orchestra Senzaspine, che sembrava nata quasi per gioco e nel tempo ha saputo tessere rapporti e ribaltare il sospetto iniziale. “Senzaspine non vorrà mica dice che questi ragazzi negano l'impegno necessario, lo studio?” ci si poteva chiedere e hanno risposto impegnandosi non poco, ponendosi sempre degli obiettivi più ambiziosi per crescere, maturare, evolversi. Perché Šostakóvič e Mahler, le prime assolute dei contemporanei e le opere di Mozart, Verdi e Puccini non si mettono in repertorio senza studio e serietà. Semmai, si fa tutto con uno spirito leggero e informale, che è la cifra distintiva dell'orchestra e dell'associazione, una chiave di un successo tangibile presso un pubblico più ampio e vario rispetto alle tradizionali stagioni musicali. Lo abbiamo constatato anche a Imola, dove avevano riportato l'opera dopo lustri già con Rigoletto e ora tornano con La bohème di fronte a un pubblico che più neofita non si potrebbe (fa tenerezza il bimbo che domanda “qual è il pittore” e chiede lumi su ogni personaggio, mentre fa rabbrividire lo stato dell'educazione musicale quando una ragazzina che studia violino si interroga su chi sia “questo Puccini mai sentito nominare”) e che ci auguriamo si accenda a maggior curiosità, come già il bel successo di questa serata fa immaginare.
Si tratta della quarta recita della prima produzione operistica dei Senzaspine in un anno intensissimo di celebrazioni (poi verranno Il signor Bruschino, Pagliacci, Il trovatore), dopo l'anteprima di Budrio e le due date al Duse di Bologna. Già l'impresa non è facile di per sé, anche per le aspettative e i confronti che un tale repertorio sollecita in una prospettiva e di divulgazione e di crescita tecnica e artistica. A questo si aggiungono influenze e malesseri che rischiano di trasformare la locandina in una corsa a ostacoli: stasera manca il Rodolfo titolare, Giuseppe Infantino già apprezzato in Rigoletto, e lo sostituisce Haruo Kawakami; il Marcello di Alfonso Michele Ciulla si annuncia indisposto; lo Schaunard di Francesco Bossi indicato in locandina cede il passo a Lorenzo Barbieri. Il primo quadro avanza con qualche comprensibile cautela, fra chi sta poco bene, chi ha saputo in giornata o quasi che sarebbe andato in scena e la necessità per tutti di familiarizzare con un'acustica particolare, una buca assai profonda che privilegia la resa dell'orchestra per la sala ma non molto generosa nel rapporto con la scena. Non si verificano mai squilibri e prevaricazioni e via via l'atmosfera si scioglie sempre di più in complicità, tanto più che a dispetto degli imprevisti il cast risulta assai ben assortito. Alessia Panza, recente vincitrice del concorso AsLiCo, appartiene alla confortante schiera di soprani men che trentenni dalla voce ricca di armonici, lirica e piena che sta emergendo di recente. Ci regala una bella Mimì, chiara nel fraseggio, omogenea, morbida e ben timbrata nel canto: un'artista in cui è legittimo riporre aspettative per il futuro. Piace anche la Musetta di Rocio Faus, affascinante, sicura e sempre ben a fuoco. Kawakami, come Rodolfo, se la cava con onore, anche se si può capire sia un po' più timido; Ciulla, da parte sua, sa far fronte all'indisposizione senza che la necessaria cautela penalizzi la definizione del suo Marcello. Yuri Guerra è un Colline di spigliata presenza scenica e belle intenzioni musicali, la cui realizzazione potrà senz'altro affinare contando su un mezzo di bel colore. Barbieri, infine, è uno Schaunard vivace, spigliato, sempre ben presente senza che la caratterizzazione registica punk lo induca a inutili sottolineature.
Luca Gallo, Benoit e Alcindoro, completa da veterano il cast insieme con Jaime Canto Navarro (Parpignol), Domenico Travaglini (venditore ambulante), Rosario Grauso (Sergente dei doganieri) e Tommaso Corvaja (Doganiere). La conferma della collaborazione con il coro lirico sinfonico Colsper preparato da Andrea Bianchi porta buoni frutti e la presenza delle voci bianche del Comunale di Bologna dirette da Alhambra Superchi è una garanzia per interventi altrimenti assai spinosi, specie in provincia.
Tutto si avvale del buon controllo di Tommaso Ussardi sul podio, che conferma la sicurezza del suo gesto e la capacità di sintesi nel rapporto con orchestra e palcoscenico, la concretezza dell'approccio e una lettura appassionata della partitura. Non trascurabile è anche l'apporto teatrale di Gianmaria Aliverta (direttore artistico di Voce All'Opera, che collabora alla produzione, riproporrà lo spettacolo a Milano e ha selezionato nel concorso Giancarlo Aliverta VAO le voci di Faus, Bossi, Infantino e della Mimì alternativa Francesca Manzo). Il regista piemontese dà il suo meglio quando deve lavorare con mezzi limitatissimi, e la squattrinata gioventù pucciniana sembra per natura il pane migliore per i suoi denti: un divano, qualche sedia, gli anni 80 di Burgy, Fischer Price e radio/mangiacassette portatili, inganni, utopie e malattie. Basta poco, se si fa bene e alcune idee, come il caminetto del primo quadro sostituito da una canna consolatrice, sono davvero gustose e ben realizzate. Anche il Parpignol-IT (e il bimbo della tromba e del cavallin con la barchetta di carta) ha un ché di grottesco e surreale che diverte, mentre non tutte le citazioni funzionano ugualmente bene. Il teatro è il luogo dove il come può valere più del cosa, lo sviluppo di un'idea più della sua originalità, dove si ruba con garbo e a tempo, ma se si riprende in modo quasi letterale il finale della Bohème bolognese firmata da Graham Vick (tutti se ne vanno,ultimo resta Schaunard a piangere Mimì) il grosso rischio è che si senta più che altro il peso del confronto, la diversa preparazione dell'epilogo, i tempi e i dettagli che non hanno la stessa pregnanza. Così, il finale, pur derivando da una produzione capolavoro, non funziona al pari delle molte idee più personali che Aliverta aveva distribuito in corso d'opera. Notazioni marginali, comunque, nella prospettiva della critica che vive viaggiando di teatro in teatro. Se è anche giusto dar peso alle scelte interpretative in senso più ampio, il valore di un'operazione come questa è, comunque, da sottolineare soprattutto come la collaborazione fra Orchestra Senzaspine e Voce all'Opera ridia moderno respiro alla provincia intesa come sacrosanta gavetta per i giovani e ambito di diffusione della cultura musicale, affinché anche la ragazzina che studia violino e non aveva mai sentito nominare Puccini ora, dopo aver applaudito di gusto, sappia chi è e conosca (almeno) La bohème.
E speriamo che a tutto questo dia valore anche il Comune di Bologna, che nel decidere di progettare una nuova struttura e demolire lo spazio concesso ai Senzaspine per le loro attività, il MercatoSonato, ha pensato solo poi a concordare una nuova casa per l'associazione: che arrivi presto!