Il reggimento tascabile
di Alberto Ponti
Buon successo dello spettacolo ideato dal duo Barbe & Doucet per la più fortunata delle opere francesi di Donizetti. Su una compagnia di canto ben assortita spicca la sapiente direzione di Evelino Pidò.
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TORINO, 23 maggio 2023 - Nemo propheta in patria, si dice. Il principio pare non valere per i nostri massimi operisti dell'Ottocento che, forti dell'egemonia culturale rappresentata in campo lirico dall'Italia, approdarono oltralpe forti di fama e successo già guadagnati sui palcoscenici della penisola. Bellini, Rossini, Verdi, Donizetti, all'apice delle carriere, non poterono rifiutare le lusinghe di Parigi, all'epoca capitale del mondo insieme a Londra, scrivendo per le scene dei teatri della ville lumière alcuni dei loro capolavori. La figura di Donizetti è tuttavia particolare, con una produzione che, a differenza dei colleghi, non sempre fu premiata in terra di Francia da immediato consenso nonostante l'indubbia qualità delle partiture. Non è questo il caso de La fille du régiment (1840), prima e fortunata incursione del bergamasco nell'opéra-comique, con i dialoghi parlati in luogo dei recitativi.
La messinscena del titolo al Regio è all'insegna di un allestimento nuovo per Torino in coproduzione con il Teatro La Fenice di Venezia, firmato dal duo registico Barbe (André) & Doucet (Renaud), autori anche di scene e costumi, qui nella ripresa di Florence Bas con l'aiuto di Guido Salsilli (regia video) e Guy Simard (luci). Sono tutti elementi cruciali dal momento che, sulle note della Sinfonia, il sipario si apre su un filmato in bianco e nero di un'anziana signora in una casa di riposo. Nell'attesa dell'arrivo dei familiari in visita la donna, che scopriremo presto essere la protagonista invecchiata, si sofferma con lo sguardo sugli oggetti della propria stanza: soprammobili, statuette, scrigno di liete memorie giovanili. Con l'inizio del primo atto ecco che si passa dal soldatino tascabile ai soldati in carne ed ossa. La scena riproduce a grandezza naturale, con gusto al limite dell'oleografico ma autentico sapore onirico, le suppellettili sul cassettone, confezioni di medicinali incluse. Sogno che prende vita o vita che sfuma in sogno? Il mondo della ragazza Marie, vivandiera dell'esercito, ha il sopravvento e il flashback ci riporta, dal Tirolo senza precisa indicazione temporale del libretto, al periodo dell'ultimo conflitto mondiale scelto dalla coppia B & D. Ad accentuare la dimensione fiabesca di un'opera che troppo comica non è, ma nemmeno così drammatica da non strappare un sorriso anche nei passi di concitazione fintamente angosciosa, sono i vivaci ma indovinati costumi, che evitano di scadere nel vintage più banale mediante l'introduzione di una sfavillante gamma cromatica, poco credibile da un punto di vista storico ma utilissima al fine teatrale. Se aggiungiamo la motocicletta su cui Marie entra in scena e la limousine in dotazione alla marchesa, il divertente pastiche di epoche e stili, mai però caotico od eccessivo da risultare fuorviante o far perdere il pallino dell'azione, è servito in tavola.
Dal punto di vista musicale, gran parte dell'onore e dell'onere ricade sulla figura di Marie, cui è demandata una quantità di numeri notevole e ben superiore agli altri protagonisti, impersonata per l'occasione dalla pugliese Giuliana Gianfaldoni. Attrice di spirito, la cantante riesce a sostenere la parte con brio e spigliatezza. La voce non è potentissima, distante dalle qualità di un soprano di coloratura in senso stretto, ma assai ben educata e sale in scioltezza verso l'acuto con i migliori esiti raggiunti tuttavia sul piano del lirismo puro, con la creazione di una delicata aura sentimentale, condita da qualche graffio di pepata personalità, nella celebre romanza 'Il faur partir' e nel duetto con Tonio 'Quoi! Vous m'aimez?', tutte accolte da applausi a scena aperta.
Il Tonio del tenore John Osborn è un partner ideale, dall'emissione decisamente più piena e rotonda ma non per questo privo della tenerezza richiesta all'innamorato. La sua entrata è anzi, non si capisce se voluta o meno, all'insegna di una recitazione piuttosto impacciata e ingessata che rende tagliata su misura per lui la figura del montanaro patatone, quale egli è nei versi di Bayard e Saint-Georges, soggetto passivo dell'azione pronto a farsi arruolare tra le file dei francesi quasi senza rendersene conto. Il suo canto è però tutt'altro che frenato, e Osborn sfrutta con intelligenza di tenore esperto i due momenti clou riservatigli da Donizetti, le arie 'Ah! Mes amis' con i famigerati nove do nel primo atto e 'Pour me rapprocher de Marie' nel secondo. La sua spigliata facilità in ogni registro, l’agilità timbrata e l’intonazione calda e appassionata, sul versante del puro lirismo come su quello bonariamente eroico che tanta importanza ha nel dipanarsi della vicenda, lo rendono interprete maiuscolo del ruolo.
Il Sulpice di Simone Alberghini, baritono a tutto tondo, non sbaglia un colpo ed è un comprimario di lusso che nel primo incontro con il povero Tonio lo mette quasi in ombra dal punto di vista attoriale. Allo stesso modo la marchesa di Berkenfield, il mezzosoprano Manuela Custer, dimostra grinta e stoffa di navigata donna di teatro, addirittura irresistibile nell’episodio della lezione di musica, con una voce dagli incisivi armonici in grado di reggere con bravura la linea nei pezzi d’insieme dove Donizetti le affida il compito di deus ex machina, prima con la rivendicazione di Marie in virtù del legame di sangue e poi acconsentendone il matrimonio con l’amato tirolese in luogo dell’aristocratico figlio della duchessa di Krackenthorp. E qui entra in gioco un altro asso nella manica della presente rappresentazione con Arturo Brachetti a impersonare la nobildonna, mancata suocera di Marie. Uno spettacolo nello spettacolo che, se da un alto ferma lo svolgimento dell’opera proprio a due passi dal finale, dall’altro garantisce una decina di minuti di alto divertimento grazie al magnetico istrionismo del trasformista torinese che scompiglia il palcoscenico, interagisce col direttore d’orchestra, intona una canzone belle époque e regala una manciata di numeri del proprio repertorio sfoderando al contempo un francese caricaturale ma perfetto, che riscatta quello un po’ approssimativo udito da altre bocche nella medesima serata.
Ben calibrati nei rispettivi personaggi sono infine Hortensius (Guillaume Andrieux, baritono), un caporale (Lorenzo Battagion, baritono), un paesano (Alejandro Escobar, tenore) e il notaio (attore) di Federico Vazzola.
Il successo della messinscena, premiata da una sala numerosa ma non colma, non sarebbe stato possibile senza il contributo dell’orchestra e del coro del Teatro Regio, entrambi apparsi in gran forma sotto le rispettive guide di Evelino Pidò e Andrea Secchi.
In particolare Pidò, che gioca in casa al pari di Brachetti benché fosse assente dal teatro da tre lustri, si rivela direttore eccellente e profondo conoscitore del repertorio in questione, portando indubbio valore aggiunto a questa Fille du régiment. Per merito della sua bacchetta vengono in luce, oltre alla purezza della linea melodica donizettiana sempre sostenuta in maniera magistrale, le mille sottigliezze di cui è impregnata la partitura, alcune frutto di mestiere sia pure di alto livello altre di inimitabili lampi di genio dell’autore che si innalza al di sopra del consueto cliché del comico. Ogni dettaglio è consegnato all’ascolto con attenzione e versatilità, evitando il rischio di una lettura troppo pedante o all’opposto sguaiata. Se qua e là si ammicca all’umorismo greve da caserma, la direzione conserva invece nobiltà di espressione, dinamismo e vivacità di accento negli innumerevoli tempi di marcia militare, ‘rataplan’ e nel ‘Salut à la France’ che tanto dovette impressionare nel 1840 i cugini d’oltralpe, ma senza dimenticare la prelibatezza dello stile serio come nell’accenno di fugato, staccato con leggiadra energia, che si affaccia nella chiusa del primo atto a sottolineare in orchestra la partenza precipitosa di Tonio.
Al termine è proiettata per l’ultima volta la sorridente anziana Marie dei giorni nostri, il cerchio si chiude e gli echi di parata si spengono in un reggimento di soldatini giocattolo.