Opera outdoor
di Luca Fialdini
LabOperitage porta il Così fan tutte di Mozart al Tempio del Futuro perduto con la mise en éspace di Francesca Muscatello e la concertazione di Giacomo Biagi.
MILANO 19 giugno 2023 – Perché l’opera si fa in teatro? Banalmente perché è lo spazio in cui è nata – non un luogo d’elezione – e in cui ha avuto la sua evoluzione tra le pagine della storia, quindi per motivi genetici è quello in cui l’opera può essere eseguita e rappresentata al meglio delle nostre possibilità.
Esiste anche la possibilità di far uscire l’opera di casa e portarla in un ambiente diverso, un’operazione forte che implica delle riflessioni di un certo peso: ad oggi, ci piaccia o no, il teatro intesto come luogo e come istituzione ha delle precise connotazioni di tipo sociale, non sempre avvertite come positive; allo stesso modo (cioè volenti o nolenti) proporre l’opera all’infuori del sistema teatro significa porre l’accento sulla distanza da questo.
È all’interno di questo tipo di prospettive che si inserisce la recente produzione di Così fan tutte di “LabOperitage”, il laboratorio teatrale dell’associazione milanese Operitage interamente gestito da studenti e neodiplomati provenienti dai migliori istituti di Alta Formazione Artistica. L’obiettivo del corso è la formazione dei nuovi professionisti, dagli interpreti alle maestranze, e nel caso di questa produzione si aggiunge anche una proposta “outdoor” dell’esecuzione ospitata nella Sala Nera del Tempio del Futuro Perduto, cornice insolita ma a modo suo perfetta per il titolo.
Il progetto firmato Operitage più che una normale rappresentazione è un vero e proprio invito all’opera: la scelta del luogo, la proposta di un’esecuzione in forma semiscenica e ridotta e una campagna pubblicitaria di rara intelligenza (WhatsOpera, briciole di trama presentate come chat di WhatsApp in diretta) espongono chiaramente il desiderio di avvicinare nuovo pubblico e sa il cielo se il mondo dell’opera ne ha bisogno. Su questo fronte la sfida è vinta in pieno, visto che la Sala Nera è gremita e l’età media della platea si assesta intorno ai 35 anni.
La mise en éspace a cura di Francesca Muscatello è semplice e funzionale, segue con senno il libretto confezionando una direzione scenica che si snoda lineare e interessante, dove i tagli non rappresentano un problema per la continuità drammaturgica, anche grazie agli interventi leggeri e con la giusta dose di improvvisazione di Erika Parotti.
A proposito dei tagli, in generale sono tutti abbastanza condivisibili data la natura dell’esecuzione (il primo atto quasi integro, più castigato il secondo); gli unici momenti in cui si è sofferto fisicamente sono stati per l’eliminazione di “Per pietà, ben mio, perdona” e di “È amore un ladroncello” e anche per la decisione di cassare molte ripetizioni scritte: queste hanno una funzione drammaturgica precisa, non sono inserite per allungare il brodo. Oltre a questo, la cancellazione causa un brutto effetto musicale (il buco si sente, eccome) e crea pure qualche episodico spaesamento negli interpreti che alla fine incolpevolmente non sono entrati benissimo nel controtempo di “E voi ridete”.
Degna di lode Gledis Gjuzi che ha accompagnato al pianoforte l’intera recita, un tour de force notevole per qualsiasi maestro collaboratore. Chiara e solida la concertazione di Giacomo Biagi, chiamato qui a ricoprire un ruolo leggermente diverso di quello tradizionale del direttore dovendosi occupare in buona sostanza solo dei cantanti, per i quali peraltro si è rivelato un prezioso sostegno.
Marco Pangallo è un buon Guglielmo, efficace, nei limiti di un personaggio relativamente bidimensionale, e dalla buona resa scenica. Bene anche Manuel Rodriguez, un Ferrando dal timbro chiaro e dal fraseggio curato (in particolare nelle articolazioni prima della stretta di “Dammi un bacio, o mio tesoro”), anche se il registro acuto ha bisogno di un po’ di consolidamento.
Angelo Vitali spicca su tutti per interpretazione e caratterizzazione del personaggio, incarnando un Don Alfonso sornione, ben cesellato, con qualche pennellata istrionica ma mai sopra le righe.
Clara Schneider propone una Dorabella con molti spunti interessanti e se c’è qualche acerbità nell’approccio alla scena è pur vero che si mostra in possesso di uno strumento che promette una buona riuscita. La Fiordiligi di Francesca Cavagna si segnala per una belle omogeneità tra i registri e un’emissione importante che deve essere controllata di più, soprattutto in questo tipo di repertorio.
Più centrata la Despina di Giada Citton, bene in parte e molto disinvolta nella recitazione, si rende protagonista tra l’altro di un’apprezzatissima “In uomini, in soldati”.
Lunghi applausi chiudono una recita insolita che ha saputo farsi apprezzare sotto tanti punti di vista. Non resta che augurarsi che questo progetto possa continuare a crescere.